martedì 27 novembre 2007

Comici provetti


Ci mancavano. Era qualche mese che i principeschi Savoia non si facevano vivi con qualcosa. L'ultima volta che abbiamo sentito parlare di loro, nella fattispecie di Vittorio Emanuele, è stato per l'inchiesta di Henry John Woodcock, a Potenza: associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, al falso e allo sfruttamento della prostituzione, questi i reati contestatigli. Poco conta che proprio oggi la Procura di Roma abbia chiesto l'archiviazione per il cosiddetto principe (non perché non abbia commesso il fatto, ma solo perché non ci sono abbastanza prove che lo abbia commesso): come dimenticare gli affettuosi epiteti con cui si riferiva a Giuliana Sgrena («vecchia troia mestruata» e «comunista di merda»), la sua regale e ineccepibile fedeltà coniugale («sto andando a Milano, in città... e adesso c'ho tre quarti d'ora... e volevo andare a puttane») o l'esemplare terminologia con cui indica gli avversari politici («bolscevichi figli di puttana»)?

Dopo averci regalato questi bellissimi momenti, finalmente il Principe e l'erede, ormai determinati a raccogliere l'eredità di Stanlio & Ollio, Ric & Gian e Gianni & Pinotto, sono andati fino in fondo e hanno deciso di dare ai cittadini un motivo in più per maledire il giorno in cui lo Stato italiano ha deciso di farli rientrare nel nostro Paese dopo 50 anni in cui i danni li facevano all'estero (vedi il caso Dirk Hamer). I due noti aspiranti comici hanno chiesto infatti all'Italia un risarcimento di 260 milioni di euro per «i danni morali subìti durante l'esilio per la violazione dei diritti dell'uomo stabiliti così come stabilito nella Convenzione Europea del 1948».

Il Governo Italiano ha risposto per le righe, ribattendo che «non solo non ritiene di dover pagare nulla ai Savoia, ma pensa di chiedere a sua volta i danni all'ex famiglia reale per le responsabilità che ha avuto nella storia italiana». Che esagerazione! Probabilmente nessuno ha capito la vera richiesta dei savoiardi: un posto a Zelig o, meglio, al Bagaglino (c'è più gnocca!).

giovedì 15 novembre 2007

Il calcio "malato", tra incompetenza e ipocrisia





Tra domenica e lunedì si è consumata una delle pagine più drammatiche del calcio italiano, e contemporaneamente una delle pagine più comiche dell'informazione televisiva. In mattinata un ragazzo è morto, per una tragica fatalità, o meglio, per la banale stupidità di un poliziotto che a 100 m da una rissa pensa bene di sedarla sparando ad altezza d'uomo. Un episodio di cronaca, nulla a che fare con il calcio, nè con il decreto Amato, nè con la violenza negli stadi.
Eppure già qualche ora dopo c'era già, tra i tifosi,chi si organizzava per rialzare la testa dopo mesi, quelli dalla morte di Raciti in poi, in cui la testa aveva dovuto tenerla bassa: per loro l'avvenimento non era "tifoso della Lazio accidentalmente ucciso da un poliziotto", bensì "rissa tra tifosi, poliziotto interviene e spara, un ragazzo muore". E si scatena il caos: a Roma ultras-guerriglieri attaccano commissariati, bruciano auto della polizia e distruggono la sede del Coni, oltre che picchiare tutti i giornalisti che incontrano.
Nel frattempo in televisione si sente di tutto e di più, dai luoghi comuni più beceri ("il calcio è malato", ripetuto decine di volte) alle richieste di dimissioni più disparate, come quelle di Xavier Jacobelli ("Amato, Abate e Matarrese in un Paese normale si sarebbero già dimessi, ma siamo in una repubblica delle banane"), ai deliri sull'opportunità di sospendere i campionati (discutibile), per finire ai proclami di La Russa, Taormina e Castelli (gli ultimi due ospiti da Biscardi), che urlavano che era tutta colpa di Amato.
Personalmente credo che due persone siano responsabili più delle altre per le violenze che sono successe. Il primo è il poliziotto che ha sparato. Il secondo è quel portavoce della polizia che ha detto che Gabriele Sandri era morto per due colpi sparati in aria, ipotesi tutt'altro che verosimile. In molti si sono sentiti presi in giro. Quanto alla favoletta del campionato da sospendere, chi può dire che sarebbe servito ad evitare gli scontri, dato che quando si doveva decidere (intorno alle 13) i tifosi erano già tutti nei pressi dello stadio? E poi, perché sospendere i campionati per un semplice fatto di cronaca che con il calcio non c'entrava nulla? Infine, chi ha permesso che a Bergamo si entrasse in curva con un tombino in mano?

venerdì 9 novembre 2007

Pacchetti e pacchi sicurezza

All'improvviso, nella nostra società aspirante multietnica, è scoppiata la grana dell'immigrazione. La comunità romena in Italia sembra essersi quintuplicata rispetto a qualche anno fa, e guarda caso la maggior parte degli stranieri, specie se clandestini, commettono furti, stupri, omicidi. Questo traspare, ogni giorno, dai mezzi di informazione.
Ovviamente c'è qualcosa che non va. L'immigrazione clandestina e il tasso di delinquenza all'interno delle comunità straniere in Italia sono due problemi presenti ormai da anni, da quei lontani primi anni '90 in cui sbarcarono migliaia di cittadini albanesi, in fuga dalla guerra civile, senza dimenticare africani, turchi, romeni stessi. Si è fatto qualcosa per affrontare la questione?
L'attuale legge Bossi-Fini, con le sue contraddizioni, non si è dimostrata all'altezza, questo è certo: serve una nuova regolamentazione degli ingressi. Ma non ci si può fermare a questo per spiegare il senso di insicurezza che domina le menti degli italiani: questo nasce da un altra necessità più forte, fondamentale in uno Stato civile, ovvero la certezza della pena. Dopo cinque anni di leggi contro la giustizia e di lotta serrata tra politica e magistratura non si può pretendere di dare sicurezza ai cittadini solo con un "pacchetto sicurezza". Si deve fare di più, si devono scrivere leggi ascoltando anche il parere di chi le leggi deve applicarle e farle rispettare, ovvero i magistrati. Se si continua ad attaccarli sempre e comunque non si arriva da nessuna parte.