lunedì 14 dicembre 2009

Il verdetto per Tartaglia è di condanna a morte


Per l'appunto. L'ultimo post scritto da me riguardava Annozero, precisamente la puntata, la prima di questa stagione, sulla libertà di informazione. Il giorno dopo, fioccarono i commenti di chi la puntata, magari, non l'aveva nemmeno vista, ma aveva comunque qualcosa da dire: una specie di gara a chi spalava più letame, di cui ho dato conto proprio qui sotto e che vi invito a leggere. Ciò che vorrei sottolineare oggi, però, è una frase di Emilio Fede, pronunciata ieri sera durante il suo 'speciale' sull'aggressione (se vogliamo chiamarla così) a Berlusconi. "Chi semina vento, raccoglie tempesta", ha detto Fede. Verissimo. E infatti dopo settimane, mesi, anni di 'vento' su Annozero da parte del Pdl e della Lega, ieri si è raccolta la 'tempesta'. Luca Bertazzoni, che si trovava con il suo operatore a Milano per la manifestazione del Pdl durante la quale ha anche parlato il presidente del Consiglio (emblema della democrazia italiana: il capo del governo che fa un comizio in piazza nel quale attacca l'opposizione: se anziché da un palco lo avesse fatto da un balcone, saremmo a cavallo), è stato ripetutamente insultato da alcuni 'civilissimi' manifestanti. "Infami", "vergognatevi", "Santoro è uno stronzo", "tu sei un dipendente, fai disinformazione, racconti delle balle". Le stesse frasi che, con toni più o meno simili, leggerete anche qui sotto, nel mio precedente post citato poc'anzi. E poi dicono che la televisione non influenza nessuno.
Non contento, tra l'altro, il Fido Emilio fa una battutina sul povero Massimo Tartaglia, già diventato 'un malato di mente con problemi psichici' a reti unificate: "Inquadratelo questo mascalzone, inquadratelo - dice il direttore dell'imparzialissimo Tg4 - chissà, magari quando esce la gente potrebbe riconoscerlo, così magari...gli offriamo un caffè". Com'era, Emilio? Chi semina vento cos'è che raccoglie? A completare il lavoretto di istigazione all'omicidio, qualche gruppo su Facebook intitolato "Uccidiamo Massimo Tartaglia" e, soprattutto, Mattino 5 e il Tg1, che hanno intervistato il padre di Tartaglia facendo attenzione ad inquadrare per bene l'indirizzo di casa sua. Non sia mai che a qualcuno non venga in mente di andargli a fare una visitina.

venerdì 25 settembre 2009

Annozero: fuoco di sbarramento

Dopo la puntata di ieri sera di Annozero, i politici di tutti gli schieramenti si sono divertiti a commentare quella che per loro si è trattata di una vergogna, di informazione faziosa, eccetera eccetera. Insomma, le solite critiche a Santoro, mosse da chi spesso Annozero non lo guarda nemmeno. E infatti il leit motiv di queste dichiarazioni, delle quali vi riporto le più interessanti , è quasi sempre il "non ho visto la puntata ma dai commenti che ho letto la posso immaginare".

Ore 13.09. CICCHITTO (PDL) - «Dopo questo avvio del talk show della Rai possiamo misurare fino in fondo quanto sono bugiardi coloro i quali convocano per il 3 ottobre una manifestazione a difesa della libertà di stampa che sarebbe conculcata dal centro-destra». Lo afferma il presidente dei deputati del Pdl Fabrizio Cicchitto. «Annozero rimane una trasmissione faziosa, contraddittoria con la natura del servizio pubblico. La prima trasmissione della nuova serie è stata costruita dall'inizio alla fine da Santoro per attaccare e diffamare Berlusconi. Travaglio può parlare in diretta televisiva senza contradditorio: si tratta di una operazione assolutamente inaccettabile sulla quale va richiamata l'attenzione del direttore generale della Rai, del Consiglio di Amministrazione e della Commissione di Vigilanza. Ci troviamo di fronte allo stravolgimento totale del senso di equilibrio che dovrebbe caratterizzare le trasmissioni della Rai. Detto ciò, risulta in modo assai evidente che la manifestazione del 3 ottobre si fonda su un falso. Infatti, a parte Annozero, quasi tutti gli altri talk show della Rai sono anch'essi politicamente orientati, anche se non raggiungono la faziosità ineguagliabile e irraggiungibile della trasmissione di Santoro». «D'altra parte, nessuno può sostenere che i principali quotidiani italiani sono favorevoli al Governo o al centro-destra. Allora da tutto ciò emerge che la manifestazione del 3 ottobre si fonda su una grande bugia».
Ore 13.11. CAPEZZONE (PDL) - «Chiunque abbia occhi per vedere e orecchie per sentire ha compreso bene che la puntata di ieri sera di Annozero aveva un obiettivo: aggredire Silvio Berlusconi per un verso, e Vittorio Feltri e Il Giornale per altro verso». Lo dice Daniele Capezzone, portavoce del Popolo della Libertà… «Tutta la 'drammaturgia' del programma, la sequenza di 'contributi', i 'montaggi' erano volti a quel risultato. E sarebbe questa la funzione del servizio pubblico?».
Ore 15.50. LAINATI (PDL) - «L?ossessione di Cuillo e dei suoi compagni della sinistra Š sempre la stessa, vedono nei rappresentati della maggioranza fantomatici censori della libert… di stampa», dice il vicepresidente della Vigilanza Giorgio Lainati (Pdl) rispondendo a Roberto Cuillo (Pd) su Annozero. «E? la classica strategia dei militanti della sinistra che - secondo Lainati - per nascondere la faziosit… e l?illiberalit…, conclamata da anni, di Santoro e di Travaglio, personaggi che usano il servizio pubblico come una loro propriet… privata, facendo quello che vogliono al di fuori di qualsiasi norma di rispetto, di pluralismo e del contraddittorio, elementi fondamenti per poter parlare di libert… di informazione». «Cuillo - conclude Lainati - Š da tempo uno specialista della difesa d?ufficio di tutti i programmi sfacciatamente antigovernativi e di parte che il servizio pubblico manda in onda».
Ore 16.03. RAO (UDC) - L'attesa spasmodica, le polemiche e perfino una certa martirizzazione di Santoro nelle scorse settimane hanno certamente amplificato il clamoroso risultato ottenuto da Annozero in termini di ascolti. Insomma, tanto tuonò che piovve«. È il commento del deputato dell'Udc Roberto Rao, capogruppo centrista in commissione di Vigilanza Rai, ai dati audience di Annozero. »Chi ha scelto Annozero - prosegue Rao - sapeva di guardare un programma scomodo e dichiaratamente fazioso, che ha aggiunto all'indiscussa capacità televisiva di Santoro una buona dose di provocazioni, con qualche punta un pò troppo oltre il limite del buongusto«. »Di certo - aggiunge Rao - non è mancato il contraddittorio tra le parti, franco e senza censure: un ingrediente che non dovrebbe mai mancare in questi programmi e che i telespettatori dimostrano sempre di apprezzare e premiare«.
Ore 17.13. ROMANI (PDL, VICEMINISTRO COMUNICAZIONI) - «Assistiamo ad un progressivo imbarbarimento del servizio pubblico». Lo ha affermato il vice ministro delle Comunicazioni, Paolo Romani, commentando Annozero. «Ho avuto l'impressione - ha spiegato Romani - di una trasmissione dove gli argomenti venissero trattati da un demagogismo d'assalto e di maniera». «Mi sembra - ha proseguito - una trasmissione tendenzialmente inutile. Per di più avrebbe dovuto raccogliere un ascolto pazzesco, invece sembra sia stata battuta da un programma con altre velleità». Romani ha quindi escluso una sua partecipazione ad 'Annozerò: «Santoro è difficile che mi inviti perchè mi ha fatto una causa qualche anno fa quando l'ho definito killer mediatico. Causa che ha perso e ha dovuto anche pagare il mio avvocato. Quindi è difficile che mi inviti».
Ore 17.13. MERLO (PD) - «Abbiamo sempre sostenuto e detto che il pluralismo nella Rai c'è se la censura non esiste, se le notizie non si nascondono e, di conseguenza, se tutte le trasmissioni vengono regolarmente mandate in onda. Così, ci pare, è stato è sino ad oggi, seppur tra molte difficoltà», dice Giorgio Merlo (Pd), vice Presidente della Vigilanza. «Purtroppo, però - secondo il parlamentare - oggi il pluralismo nel servizio pubblico radiotelevisivo è un confronto continuo tra l'adulazione acritica verso il potere e la faziosità e il settarismo eretti a sistema. Una domanda è d'obbligo: è questo il tanto decantato pluralismo del servizio pubblico? Se così è, ci dobbiamo rassegnare per il futuro ad uno scontro tra faziosità. Con tanti saluti all'informazione libera ed imparziale».
Ore 17.20. LEONE (PDL) - «Siamo rimasti allibiti dinanzi allo spettacolo di Santoro che fa della Rai una rete di parte e raccogliamo anche il mugugno e la protesta dei cittadini contro questo modo di far televisione», dice Antonio Leone (Pdl), vicepresidente della Camera dei Deputati.
Ore 17.20. CASOLI (PDL) - «La tv pubblica è una televisione che per sua natura deve essere al di sopra delle parti. Lo spettacolo di Santoro di ieri sera contraddice in maniera plateale la ragion d'essere della Rai»: è il giudizio del senatore Francesco Casoli (Pdl) sulla prima puntata di Annozero.
Ore 17.23. VALDUCCI (PDL) - «Purtroppo per Annozero libertà di stampa viene intesa come libertà di fango, possibilità dare addosso a Silvio Berlusconi e alla sua maggioranza senza alcun ritegno», dice il Presidente della Commissione Trasporti Poste e Telecomunicazione Mario Valducci (Pdl) in relazione alla prima puntata di Annozero. «Che tutto questo avvenga nella rete pubblica, pagata col canone di tutti i cittadini - aggiunge - pone degli interrogativi ancora maggiori. Del resto il clichè della sinistra è sempre lo stesso, antiberlusconiana, anti italiana, antipopolare».
Ore 17.33. SALTAMARTINI (PDL) - «Il solito, isterico processo a Berlusconi, orchestrato per lo più senza contraddittorio, con attacchi di carattere personale, molta confusione e approssimazione, e un unico risultato: imbarbarire il confronto politico». Lo dice la deputata Barbara Saltamartini, responsabile delle Pari opportunit… del PdL che aggiunge: «'Annozerò ci ha confermato ieri sera che in Italia non solo esiste un'ampia liberta di informazione ma anche di diffamazione».
Ore 17.52. ROMANI (PDL, VICEMINISTRO COMUNICAZIONI) - «Siccome siamo liberali non possiamo cacciare via nessuno». Lo ha detto il viceministro della Comunicazione, Paolo Romani, commentando la trasmissione Annozero di ieri. Romani ha quindi criticato Annozero spiegando che è la trasmissione di chi si sente autorizzato a fare opposizione: «finirà - ha concluso - prima o poi anche questa storia».
Ore 17.54. GASPARRI (PDL) - «Ad Annozero è andata in scena la solita becera faziosità che non meraviglia più nessuno. Il suo conduttore, con penosa auto referenzialità, prima piange e poi...». Lo dice il presidente dei senatori Pdl Maurizio Gasparri. «Ne torneremo a parlare quando ad Annozero - continua Gasparri - si parlerà di qualcosa di veramente scandaloso come le inchieste sulla sanità a Bari, di Tedesco e dei rapporti con D'Alema e la sinistra. Ma questo servizio alla libera, completa e corretta informazione non lo vedremo mai dagli eredi di TeleKabul».
Ore 18.58. SANTELLI (PDL) - «Nessuna novità sotto il sole di Annozero: Travaglio e Santoro hanno recitato la loro solita parte, quella a cui ci hanno abituato. E questa - si chiede Jole Santelli (Pdl), Vice Presidente della Commissione Affari Costituzionali e membro della Commissione di Vigilanza - sarebbe l'informazione 'controllatà dal centrodestra? Esiste per caso una trasmissione del servizio pubblico faziosa come Annozero?». «Viene da chiedersi - aggiunge - se per caso non sarebbe più democratico garantire un contraddittorio ai monologhi di Marco Travaglio, e se la tv pubblica, pagata dal contribuente, non dovrebbe per caso informare in maniera più equilibrata». «Ieri sera nelle case degli italiani, opportunamente influenzati dalla campagna di stampa che ha preceduto la messa in onda di Annozero, è entrata l'aggressione, la calunnia, la demagogia e certo non l'informazione».
Ore 18.13. BUTTI (PDL) - «Annozero, anche ieri sera, si è contraddistinto per il solito stile di giornalismo violento». È quanto dichiara il capogruppo Pdl in commissione di Vigilanza Rai, Alessio Butti. «La puntata scorsa è stata una ulteriore conferma - aggiunge Butti - che solo nel servizio pubblico italiano c'è un conduttore a priori contro qualcuno o qualcosa, e guarda caso sempre contro il centrodestra e contro il presidente Berlusconi. Occorre, come già ho fatto presente in commissione di Vigilanza, un contraddittore vero ai vari opinionisti di turno. E su questo condivido l'analisi del Direttore generale. Detto ciò, chiediamo a Masi non di chiudere le trasmissioni o gli approfondimenti che sono antigovernativi 'a prescinderè, ma di aggiungere altre voci - conclude Butti -, di indirizzo contrario. Perchè se la Rai deve essere l'azienda che fa della pluralità uno dei suoi capisaldi allora deve dare voce a tutti in modo adeguato».
Ore 19.01. FALLICA E VICECONTE (PDL) - «Dopo aver alzato un polverone attaccando Berlusconi e i dirigenti Rai al solo scopo di pubblicizzare il suo programma, Michele Santoro ci ha dato ieri sera l'ennesima dimostrazione della sua faziosità e del suo odio nei confronti del Presidente del Consiglio. Non è più ammissibile che i soldi che i cittadini versano alla Rai vengano utilizzati per finanziare trasmissioni che hanno come unico scopo quello di attaccare in modo violento e calunnioso le istituzioni democraticamente elette. Se Santoro vuole continuare con i suoi processi ideologici vada via dalla Rai e cerchi qualcuno disposto a ospitare le sue prediche e le accuse diffamatorie del suo degno compare Travaglio».Lo afferma Pippo Fallica del Pdl. «È davvero assurdo che gli italiani debbano pagare il canone per assistere a una trasmissione di partito. Per l'ennesima volta- aggiunge Guido Viceconte, altro esponente del Pdl- Santoro ha proposto una puntata faziosa, aggressiva e incompleta che viola le più elementari regole del servizio pubblico. L'ex parlamentare dei DS Michele Santoro si è ormai impadronito dei palinsesti Rai e si è messo al disopra delle regole del buon gusto, dell'obiettività e del rispetto. Fino a quando gli italiani dovranno subire questa prevaricazione?», conclude.
Ore 19.16. BALBONI (PDL) - «A tutti quei soloni che il 3 ottobre manifesteranno per difendere la libertà di stampa vorremmo dire che la fiera dell'insulto e della diffamazione andata in scena nella prima serata di Annozero è la migliore dimostrazione che in Italia non solo non esiste alcun bavaglio ai giornalisti, ma ce ne sono alcuni che impunemente possono dire qualsiasi cosa contro chiunque»: lo dice il senatore Alberto Balboni del Pdl che sottolinea come «Santoro ieri ha fatto uno spot contro la manifestazione del 3 ottobre, perchè ha dimostrato di poter infamare a suo piacimento senza censura e senza limiti».
Ore 19.34. SCAJOLA (PDL, MINISTRO SVILUPPO ECONOMICO) - «È ora di finirla. È l'ennesima puntata di una campagna mediatica basata sui pruriti, sulla spazzatura, sulla vergogna, sull'infamia, sulle porcherie» È questo il commento del ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola alla puntata andata in onda ieri sera del programma Annozero. Scajola annuncia: «Convocherò i vertici della Rai per verificare se trasmissioni come Annozero rispettino l'impegno, assunto dalla Rai nel contratto di servizio, a garantire un?informazione completa e imparziale».
Ore 19.37. SCAJOLA (PDL, MINISTRO SVILUPPO ECONOMICO) - «La televisione non può sostituire le aule dei tribunali soprattutto quando la magistratura non ha rilevato alcun elemento per aprire inchieste sul presidente del Consiglio. Stiamo attraversando una stagione di veleni che sconcerta i cittadini. Queste aggressioni sono la risposta disperata alla politica del fare del Governo Berlusconi, nell'illusione di sovvertire il risultato elettorale. La politica non può arrendersi a questa logica». Lo ha detto il ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola a proposito alla puntata andata in onda ieri sera del programma Annozero. Per questo, ha annunciato Scajola «convocherò i vertici della Rai».
Ore 20.24. AMATO (PDL) - «Non è ammissibile che la Rai diventi il palcoscenico per improbabili tribuni del popolo che senza freni e senza inibizioni possano lanciare i loro strali contro il nemico di turno»: lo dice il senatore Pietro Paolo Amato (Pdl), componente della Comissione di Vigilanza Rai. «Questo, da un lato dimostra che non esiste alcun rischio per la libertà di stampa, ma allo stesso tempo impone una riflessione sul servizio pubblico - aggiunge -. Trasmissioni come Annozero confermano quanto la faziosità vanifichi il ruolo della Rai, che è quello di servizio pubblico. In nessun paese del mondo la tv di Stato è sistematicamente contro il governo, un atteggiamento che alla fine pesa anche sulle scelte degli stessi cittadini. Infatti, come non vedere un nesso tra la grande sacca di evasori e questi programmi che creano disaffezione nei telespettatori, ripercuotendosi sulle stesse finanze dell'Azienda. Per questo vorrei rinnovare l'invito agli esponenti del Pdl di non andare come ospiti ad Annozero, evitando di fare gli inutili spettatori dell'ennesimo giostra antiberlusconiana», conclude Amato.

martedì 15 settembre 2009

Questo sì che si chiama Regime



Tutto iniziò quindici anni e mezzo fa. Nel periodo più buio della storia dell'Italia, tra stragi di mafia, inchieste e tangenti, un uomo si affacciò alla finestra della politica italiana. Il Paese aveva imparato a conoscerlo tramite le sue televisioni, i suoi supermercati, le sue aziende, la sua squadra di calcio, ed impazziva letteralmente per questo imprenditore 57enne, autentico simbolo vincente. Nessuno immaginava i mezzi da lui usati per arrivare così velocemente al successo, neppure gli uomini a lui più vicini. Silvio Berlusconi scese in campo "per un nuovo miracolo italiano", riprendendo le parole di Oscar Luigi Scalfaro che aveva elogiato un'Italia che si stava risollevando dopo un bruttissimo biennio. Già allora, però, qualcuno urlò contro quello che sembrava un grosso pericolo per la democrazia: Indro Montanelli, direttore del quotidiano di punta della famiglia Berlusconi, quel Giornale da lui fondato vent'anni prima, scrisse chiaramente che non era opportuno che un editore facesse politica senza vendere i suoi giornali e le sue televisioni. Soprattutto considerando il fatto che la Fininvest da lui controllata aveva tecnicamente il monopolio della tv commerciale, e che se avesse voluto avrebbe piegato in quattro e quattr'otto anche la televisione pubblica. "Il giorno in cui disporrà di sei reti tv, tre di proprietà e tre della Rai - scriveva Montanelli - gli sarà facile farci vedere la luna a mezzogiorno e il sole a mezzanotte. Prepariamoci a cinque anni di regime: perché, più che un governo, quello del Cavaliere sarà un regime". Dalle televisioni della Fininvest arrivarono attacchi durissimi al direttore del Giornale. Emilio Fede chiese le sue dimissioni in diretta sul Tg4, Sgarbi, nella sua rubrica Sgarbi quotidiani, gli diede del "fascista" e del "vecchio rincoglionito". Fu lì che la maggior parte dell'Italia fece finta di non vedere: se, davanti a quegli attacchi dei due "scherani" del Cavaliere - come li definì Montanelli - gli italiani si fossero resi conto di ciò che poteva diventare il nostro Paese con l'informazione in mano ad un uomo solo, ora forse non saremmo a questo punto.
Andò al governo nel 2001, e dopo aver preso in mano la Rai ebbe gioco facile a far cacciare le voci dissonanti. Enzo Biagi, Michele Santoro, Daniele Luttazzi, Sabina Guzzanti furono presi a pedate e mandati via dalla televisione in cui lavoravano, e sostituiti con altri pseudoprofessionisti (Pierluigi Battista, Giovanni Masotti, Daniela Vergara, Clemente Mimun) che non riuscirono mai a raggiungere i loro stessi risultati in termini di ascolti, provocando dunque un danno enorme alla Rai a vantaggio, ovviamente, di Mediaset. Uno spettacolo di Paolo Rossi fu mandato in onda solo per metà perché ritenuto "pericoloso". Massimo Fini fu prima chiamato per una trasmissione e poi subito mandato via perché su di lui c'era "un veto arrivato da molto in alto" (parola di Antonio Marano, ex direttore di Raidue e ora vicedirettore generale Rai). Oltre a questi, una lunga lista di censure grandi e piccole, che servivano a colpire le voci dissonanti nel buon nome del governo. La televisione in chiaro, nel frattempo, perdeva un enorme massa di telespettatori a vantaggio di Sky, cresciuta vertiginosamente nel numero degli abbonati. La tv di regime non riuscì però a mascherare abbastanza bene gli insuccessi del governo, tanto che il centrodestra perse tutte le elezioni dal 2002 in poi, fino alle politiche del 2006, un sostanziale pareggio raggiunto anche grazie all'ingenuità del centrosinistra.
Nel 2006 arrivò Prodi, che anzichè cambiare la legge elettorale per raggiungere una vittoria vera (la maggioranza al Senato era di soli tre voti), decise inopinatamente di andare avanti: la prima iniziativa del suo governo fu però disastrosa, un indulto di tre anni che segnò il baratro nella fiducia nell'esecutivo. Dopo l'indulto, sventolato tra l'altro dal centrodestra come simbolo degli insuccessi di Prodi (nonostante fosse stato voluto e votato anche da Forza Italia, Udc e pezzi di Alleanza Nazionale, principalmente per salvare Previti dal carcere), arrivarono mille problemi. Dalle inchieste a Mastella alle bizze dell'estrema sinistra, fino ai capricci di Dini e Bordon, peraltro motivato da qualche offertina arrivata alla moglie attrice (come si scoprirà qualche mese dopo). Quando, un anno e mezzo fa, il ministro della Giustizia più indagato della storia dei Paesi occidentali si dimise per stare vicino alla sua famiglia e dopo qualche giorno fece cadere il governo (ripagato quest'anno da una bella candidatura in Europa con l'ex nemico Silvio), era scontato che sarebbe stato Berlusconi a tornare a Palazzo Chigi. Come era scontato, per chi non crede alle favole, che avrebbe messo tutto il suo impegno nel cercare di zittire tutte quelle voci contro che nel frattempo erano tornate in televisione (nella fattispecie, due: Santoro e Marco Travaglio). Invece si diceva che non lo avrebbe fatto, che era diventato uno statista e che stava lavorando sulla sua immagine per potere, un giorno, salire al Quirinale.
E invece negli ultimi mesi abbiamo assaggiato, e stiamo continuando ad assaggiare, tutto il potere mediatico berlusconiano, nel sostanziale silenzio di quelle istituzioni che dovrebbero essere super partes, ma che in realtà pensano soprattutto a difendere la propria poltrona. Corte Costituzionale a parte (che il 6 ottobre dovrà decidere sulla sorte del Lodo Alfano e su cui personalmente non nutro grandi speranze), ogni tipo di Authority ha taciuto colpevolmente su alcuni episodi che definire inquietanti è dir poco. Dopo l'inizio della battaglia di Repubblica partita con la partecipazione del premier ad una festa di compleanno di una diciottenne (che ora, grazie a quella storia, si atteggia a grande diva) e proseguita con le inchieste sull'imprenditore-pappone che aveva portato decine di prostitute a Palazzo Grazioli (capisco che la parola escort va più di moda, ma chiamarle prostitute fa più effetto) grazie soprattutto alla testimonianza di una di loro, Patrizia D'Addario (e anche lei, ora, si atteggia a grande diva), i contrattacchi delle novelle camicie nere si sono fatti attendere, ma alla fine sono arrivati.
Innanzitutto, Vittorio Feltri. Tornato al Giornale dopo qualche anno di assenza (nel frattempo aveva fondato un altro quotidiano, Libero, ora lasciato in comodato d'uso a Maurizio Belpietro), Feltri ha subito messo le cose in chiaro, ricordando le istruzioni che il padrone aveva usato anni e anni fa, prima di cacciare Montanelli dal suo Giornale. "Non dobbiamo usare il fioretto, dobbiamo usare il mitra", aveva detto Berlusconi all'assemblea di redazione del Giornale alla fine del 1993, all'insaputa di Montanelli. E dopo quasi sedici anni Feltri, stipendiato più o meno quanto il fantasma Ronaldinho, ha imbracciato il mitra ed ha iniziato a mirare. "Iniziamo da Dino Boffo", ha scritto qualche settimana fa, facendo capire che la lista è ancora lunga e che chi continuerà a dare fastidio verrà colpito senza pietà. Dopo Boffo, ora, è il turno di Fini, sul quale veleggia l'ombra di un presunto "dossier a luci rosse" del 2000, tenuto nel cassetto fino ad ora ma che, chissà, potrebbe venire fuori da un momento all'altro.
In secondo luogo, ma sicuramente non meno importante, la televisione pubblica. La Rai, nelle ultime settimane, sta tirando la corda per evitare che quest'anno vadano in onda programmi ritenuti "contro il governo" come Che tempo che fa di Fabio Fazio e Parla con me di Serena Dandini. A Report, gloriosa trasmissione di inchieste giornalistiche, destinataria di decine e decine di cause sempre vinte, è stata tolta l'assistenza legale e ora rischia di non andare in onda. Ballarò è stato spostato per permettere ai telespettatori di seguire lo speciale Porta a porta sulle meraviglie del governo che ha consegnato le prime case ai terremotati abruzzesi (ed è stato spostato anche Matrix, chissà perché). Su Annozero, e in particolare sulla presenza dello scomodissimo Marco Travaglio, i dirigenti Rai stanno premendo in maniera fortissima, sperando che Santoro getti la spugna e si decida a togliere di mezzo il giornalista torinese. "Quando parlano di Travaglio, parlano di Annozero", ha chiarito subito Santoro, deciso assolutamente ad andare in onda con la stessa formula degli anni scorsi e senza censure di nessun tipo. Nel frattempo, però, gli spot della trasmissione si sono visti solo su YouTube e su Facebook, grazie alla collaborazione degli internauti (me compreso).
Insomma, ciò a cui stiamo assistendo non è la prova tecnica di regime di cui vaneggia il Pd. Non c'è nessuna prova tecnica da fare: il regime c'è già. Se così non fosse, lo scandalo in cui è finito Berlusconi avrebbe avuto qualche effetto, anzichè essere continuamente definito "gossip" da tutti i telegiornali tranne uno (il Tg3). All'estero, nel frattempo, continuano a riderci dietro, anche se ormai ridere non serve più. Viviamo in un Paese in declino, in mano alla mafia, nel quale assassini e stupratori, corrotti e corruttori, evasori e furbetti la fanno franca. Con una stampa semilibera e una televisione nemmeno semilibera, costretti a sorbirci le bugie del governo e di troppi politici di destra e di sinistra su ogni telegiornale, in ogni trasmissione, senza che nessuno si svegli e protesti contro questa scandalosa sottovalutazione della nostra intelligenza. E ci ritroviamo a riflettere e a chiederci se forse non siamo proprio noi a sopravvalutarla, la nostra intelligenza.

giovedì 10 settembre 2009

Che tenera

Non voglio fare il bacchettone nel pubblicare quest'intervista. Stiamo parlando di una bambina di 18 anni, che voleva diventare famosa ed è riuscita nel suo intento. Nel suo momentaneo quanto sfuggente delirio di onnipotenza ("voglio fare l'attrice", "è sempre stato questo il mio obiettivo", "mi sento un'attrice, mi sono fatta le ossa con il teatro"), Noemi è tenerissima. Parla come se avesse milioni di fans ad ascoltarla, come farebbe la più frivola delle Miss America. Si lamenta dei "falsi amici" che la "sfruttano per farsi pubblicità". E soprattutto, usa anche lei il solito cliché, inventato dai talent show e da Simona Ventura, del "carattere forte", del "lottare per raggiungere i propri obiettivi". Insopportabile.

mercoledì 9 settembre 2009

Addio pluralismo...o no?

Questi sono i due spot che la Rai avrebbe già dovuto iniziare a mettere in onda, e che invece sta tenendo in un cassetto. Sono i promo per l'inizio della trasmissione Annozero di Michele Santoro, che doveva aprire i battenti giovedì 24 settembre e su cui invece è calato il mistero. La Rai sta infatti tirando la corda riguardo alcuni contratti, tra cui quello di Marco Travaglio, su cui graverebbe, secondo alcuni, il veto negativo del presidente del Consiglio in persona. Il ducetto arcoriano infatti, dopo anni di denunce e richieste di danni al giornalista torinese, vuole mostrare i muscoli e farlo cacciare dalla trasmissione, unico spazio di libertà ancora sopravvissuto nel panorama televisivo italiano insieme a Report (e anche Milena Gabanelli sta avendo i suoi problemucci, ultimamente). Se il volere di Berlusconi sarà rispettato, come troppo spesso è accaduto e accade alla Rai (alla faccia del conflitto d'interessi), è più verosimile pensare che Annozero non vada in onda piuttosto che aspettarsi un programma senza uno dei suoi "padri fondatori" (già Ruotolo, qualche giorno fa, ha ribadito che "Annozero è Santoro, Travaglio, Vauro..."). Per quanto mi riguarda, spero che Santoro e Travaglio vadano in onda senza problemi: ma se dovessi scommettere un euro sulla sorte di Annozero, lo punterei sulla sua chiusura. D'altronde, se la Rai è riuscita già una volta a cacciare Santoro (e con lui, Luttazzi a parte, anche un mito come Enzo Biagi), non vedo perché non potrebbe rifarlo.


venerdì 31 luglio 2009

Istruzioni per l'uso

«Girotondi per Marino»: una lista e un programma in 11 punti per vincere congresso e primarie, ma soprattutto una sorta di «istruzioni per l'uso» che consentano di cacciare dal vertice del Pd i dirigenti con i quali «non vinceremo mai». L'iniziativa è del direttore di Micromega, Paolo Flores D'Arcais, che rivolge un appello ai lettori e agli iscritti democratici. «Cari amici e compagni, ma soprattutto concittadini - è l'incipit - vi chiedo solo alcuni minuti di attenzione. Con questi dirigenti (del Partito democratico) non vinceremo mai. Se non vogliamo tenerci Berlusconi a vita, dunque, questi dirigenti dobbiamo estrometterli tutti». «Propongo - afferma - di dare vita ad una lista dal nome provvisorio 'girotondi per Marino', per indicare un sostegno che viene da quanti hanno rifiutato con le lotte ogni ipotesi di inciucio, perchè giudicano quello di Berlusconi un regime putiniano che sta riducendo l'Italia in macerie (morali, istituzionali, sociali, culturali, economiche)». Undici gli «irrinunciabili impegni programmatici» di questa lista che è possibile leggere sul sito internet. Flores D'Arcais passa poi a elencare le «istruzioni» per cacciare la nomenklatura dei perdenti, a partire dalle circa 7/8 mila firme necessarie per portare mille candidati per l'assemblea nazionale: «Il tutto - spiega - entro settembre. Tutto ciò è difficile ma non è impossibile. Per questo chiedo a coloro che condividono gli undici punti e sono iscritti al Pd di mandare a girotondipermarino gmail.com nome, cognome, provincia e città di residenza, circolo del Pd a cui si è iscritti, disponibilità a firmare ma anche ad essere candidati, e altri elementi della propria biografia di impegno politico che ritengano utile comunicare». «Coinvolgere ottomila persone, senza uno straccio di apparato organizzativo, per pura passione civile, senza prospettive di cariche e prebende, sembra una follia. Ma sono milioni i concittadini democratici che vorrebbero un nuovo partito senza i dirigenti con i quali 'non vinceremo maì». «Questa follia - conclude - è possibile. Possiamo estrometterli dal Pd e fare di questo partito uno strumento per cacciare Berlusconi». (ANSA)

giovedì 16 luglio 2009

Il Partito antidemocratico


Alle politiche del 2001 non avevo ancora 18 anni, dunque non votavo. Il mio battesimo del fuoco, parlando di elezioni, è stato alle europee del 2004: votai Ds, votai Michele Santoro, che anche grazie al mio voto fu eletto e andò a Bruxelles, dove doveva lottare per la libertà di informazione e da dove poi si dimise per andare a Rockpolitik da Celentano, e infine per tornare in tv con Annozero. Nel 2005, alle regionali scelsi di votare solo il presidente, Vendola obviously, senza dare preferenze ad alcuno. Nel 2006 votai Ulivo, perché credevo in Prodi e in quello che doveva essere il suo governo, salvo restare delusissimo da gran parte dei suoi esponenti. Ed è stato per questo che, dalle politiche 2008 in avanti, ho scelto di votare Italia dei valori. Non, sia chiaro, perché ritenga che Di Pietro possa diventare premier o possa rifondare la sinistra - le sue idee non hanno nulla di sinistra, anche se il suo elettorato è fortemente antiberlusconiano: ma per essere berlusconiani non occorre essere di sinistra - ma perché tutti gli altri mi hanno talmente deluso che scelsi di votare per colui che urla più forte contro questa dittatura. E Di Pietro urla, fortissimo.
In altre parole, non ho mai votato per il Partito democratico. Come ho detto, a parte le politiche del 2006 - in cui votai Ulivo pentendomi - l'unica volta che ho votato per i Ds l'ho fatto solo per dare il mio voto a Santoro. Avrei voluto recarmi alle primarie dell'Unione del 2005 per votare Prodi, ma non ci andai. Avrei voluto recarmi alle primarie del Pd, quelle dell'incoronazione di Veltroni, ma non ci andai: e se ci fossi andato, avrei votato presumibilmente Rosy Bindi. Tutto ciò sta a dimostrare che io, con il Pd, c'entro poco. Ogni volta, poi, che qualcuno parla con me, non esito a spalare quantità industriali di merda sui dirigenti democratici, perché campioni di inciuci e di riciclaggio politico e soprattutto perché non hanno ancora capito che, se il Pd non ha un'identità politica ben precisa e se i suoi elettori lo stanno abbandonando, la colpa è per la maggior parte la loro: dei vari Fassino, D'Alema, Rutelli, Fioroni, Latorre. Interessati più alle poltrone e al potere che alla giustizia sociale o al benessere dei loro concittadini.
Eppure, se domani mattina decidessi di iscrivermi al Pd, cosa dovrei fare? Dovrei andare nel circolo della mia città - in questo caso, Ostuni - e i dirigenti del circolo dovrebbero decidere se rilasciarmi o no la tessera. In questo caso, anche per la presenza di mio cugino nel partito a livello locale, non ci sarebbero problemi e io diventerei un militante del Partito democratico. Eppure, io non ho mai votato per il Partito democratico, e detesto i suoi dirigenti. Se poi volessi, potrei anche candidarmi a segretario: mi basterebbe raccogliere le firme in qualche regione e presentare la mia candidatura entro una certa data. Se riuscissi a farlo, si candiderebbe a segretario del Pd una persona che per il Pd non ha mai votato, e che non ha nessuna stima dei suoi dirigenti. Voi direte: dove voglio andare a parare?
Il fatto che io - in quanto cittadino - possa fare una cosa del genere, ci sta nel meccanismo di un partito davvero democratico. Eppure negli ultimi giorni un comune cittadino ha scelto di mettersi in gioco e di correre per la carica come quinto candidato, dopo Franceschini, Bersani, Marino e Adinolfi. Questo comune cittadino ha presentato il suo programma, radicalmente diverso dai programmi degli altri (anche se, dei programmi degli altri, si sa poco o nulla), ha richiesto la tessera del partito ed ha iniziato a raccogliere le firme. Ma la tessera gli è stata negata. Il suo nome, come avrete capito, è Beppe Grillo.
Allora ci si dovrebbe chiedere: il Partito democratico è davvero democratico? Si può definire democratico un partito che nega la tessera ad un cittadino che non ha mai militato in nessun altro partito, che presenta un programma, che rispetta le regole per la candidatura? La tessera del Pd, negli ultimi anni, non si è negata a nessuno. Dai pregiudicati come Enzo Carra (condannato definitivo per falsa testimonianza durante Mani pulite) agli iperriciclati come Marco Follini (già segretario dell'Udc e vicepremier del governo Berlusconi III), dalle raccomandate di lusso come Marianna Madia (portata in Parlamento in quanto "amica di Enrico Letta", o ricordo male?) agli indagati per mafia come Vladimiro 'Mirello' Crisafulli (filmato dai Carabinieri a cena con il boss di Enna, mentre parlavano di appalti), per finire al presunto stupratore seriale di Roma. E questo dovrebbe essere il partito nuovo? Gli stupratori, i mafiosi, i voltagabbana e i raccomandati sì e Beppe Grillo no?
Se il Pd fosse stato un partito serio, avrebbe detto a Grillo: candidati, gareggia con gli altri aspiranti segretari, presenta il tuo programma, gli elettori delle primarie ti giudicheranno. Ma sappi che prima di tutto non tollereremo i tuoi soliti toni qualunquisti, e che se vinci dovrai ascoltare la voce di tutti e non decidere da solo, mentre se perdi dovrai lottare insieme a noi. Questo, avrebbe fatto un partito serio. Avrebbe accolto un cittadino e i suoi seguaci e avrebbe sfruttato quest'occasione per aprire gli occhi sulla società italiana, così lontana dai dirigenti del Pd. Ciò che è evidente, però, in tutta questa storia, è la contraddizione dello strumento delle primarie, contraddizione che era già venuta fuori in occasione delle elezioni che incoronarono Veltroni: finchè c'è un candidato forte e tanti candidati deboli senza idee, va bene; se però si presenta qualcuno con idee diverse, innovative, e soprattutto con serie possibilità di vincere, non va più bene. In quell'occasione, i trombati furono Furio Colombo e Antonio Di Pietro. Grillo aveva serie possibilità di diventare segretario del Pd, e facendolo avrebbe spazzato via l'eterna lotta Veltroni-D'Alema (stavolta travestiti da Franceschini e Bersani, senza nulla togliere all'onestà di questi due) che ha triturato e raso al suolo la sinistra italiana degli ultimi venti anni. Ciò dava fastidio alla nomenklatura, troppo fastidio.
Concludo chiarendo una cosa molto importante: il tema sul quale occorre concentrarsi non è tanto se Grillo avesse o no la statura politica per fare il segretario del secondo partito italiano. Non è se Grillo avesse un programma o no. Non è se Grillo potesse o no diventare membro di un partito su cui aveva sparato a pallettoni ogni giorno negli ultimi due anni. Il tema è se un partito ha il diritto di negare la propria tessera ad un cittadino senza un motivo valido. E questo precedente dimostra che il Pd, fonte di sì tanta speranza da parte dei giovani della sua base (che difficilmente, a mio parere, si riconoscono nelle deliranti parole del loro segretario Raciti), nato da meno di due anni, è già entrato in un coma a dir poco profondo.

martedì 14 luglio 2009

Zurlo on demand aderisce allo sciopero dei blogger


Zurlo on demand aderisce allo sciopero contro la legge Alfano, che limita la libertà di informazione. Invece dei consueti post, i blog italiani metteranno on line solo il logo della protesta, con un link al manifesto per il Diritto alla Rete: http://dirittoallarete.ning.com. Con un emendamento del ddl intercettazioni, il governo vorrebbe mettere il bavaglio alla Rete, obbligando tutti i "gestori di siti informatici" (senza alcuna distinzione tra blog, Twitter, Facebook o testate registrate) alla rettifica di post, commenti e altre informazioni a 48 ore dalla richiesta pena una sanzione dai 15 ai 25 milioni di vecchie lire. Un altro tentativo di imbavagliare la Rete dopo gli emendamenti e i disegni di legge che già sottolineavano la volontà della classe politica di arginare la Rete, peraltro senza conoscere la materia su cui vorrebbero imporre limiti e condizioni.

martedì 7 luglio 2009

Let's kick Salvini out


E' divertente vedere come in Italia si possa dire e fare tutto e il contrario di tutto senza aver paura di pagarne mai le conseguenze. Senza scomodare i gravi casi Parmalat e Cirio (Tanzi e Cragnotti non marciranno in carcere che per pochi mesi, chissà cosa ne pensa Madoff, condannato a 150 anni), un esempio calzante si può trovare nel calcio. Ebbene sì, lo sport più popolare e seguito del nostro belpaese. Solo un mese fa, il 18enne Mario Balotelli, talento dell'Inter e della Nazionale Under 21, prendeva parte agli europei di categoria, e c'era chi si preoccupava per lui e per i cori e le provocazioni di cui era stato vittima. In campionato, il più gettonato era "Non ci sono negri italiani". In campo internazionale, ai "buu" dagli spalti si aggiungevano le provocazioni dei giocatori in campo, ben consapevoli della debolezza psicologica dell'interista. E cosa dicevano opinionisti e tuttologi nostrani? Il razzismo è "stupido", "non è degno di un paese civile", "Balotelli è italiano come noi", eccetera eccetera.
Qualcuno ha dimenticato però che il 7 maggio scorso, un certo deputato leghista, tale Matteo Salvini, da leghista convinto e "da milanese che prende il tram", aveva avanzato una piccola proposta: a Milano ci sono troppi extracomunitari e tolgono, oltre "al lavoro agli italiani" (pezzo forte delle campagne elettorali della Lega Nord), anche i posti a sedere ai milanesi. Perciò la soluzione, per questo giovane "onorevole", era riservare posti ai milanesi, distinguendogli dagli "altri". Proposta appoggiata anche da una sua collega di partito, Raffaella Piccinni (e poi dicono che servono le quote rosa), con una differenza: anziché la distinzione "milanesi-altri", un'altra distinzione, cioè "extracomunitari-altri". Un'idea in puro stile apartheid, 15 anni dopo l'abolizione della segregazione razziale in Sudafrica. Se Nelson Mandela fosse morto, si rivolterebbe nella tomba: per fortuna è vivo, e non sarebbe male chiedergli una sua opinione.
La proposta di Salvini&Piccinni passò quasi inosservata, considerata "la solita idea razzista della Lega", come si parla delle marachelle di qualche ragazzino. Il problema è che non si parla di ragazzini capricciosi: si parla di un partito che è al governo. Oggi l'eroe Salvini torna a far parlare di sè, con un video, pubblicato da Repubblica e che ha fatto velocemente il giro del web, in cui intona cori da stadio offensivi verso i napoletani. "Senti che puzza, scappano anche i cani. Sono arrivati i napoletani...Son colerosi e terremotati...Con il sapone non si sono mai lavati...". Il deputato leghista, dopo essere stato attaccato, curiosamente, esclusivamente da politici di origini campane, si è incredibilmente difeso così: "La politica è questo governo, che ha ripulito Napoli da rifiuti e schifezze dopo anni di degrado. Il video in cui canto invece è un'altra cosa, è una festa tra amici che nulla c'entra con la politica, nel corso della quale si sono cantate canzoni da stadio. Quella messa in rete è la canzone sfottò che si canta ai tifosi del Napoli e poi ne abbiamo cantata subito dopo una contro il Verona". La famosa par condicio da stadio.
Allora umilmente mi chiedo: che senso ha, in un'Europa in cui la lotta al razzismo è affrontata in modo serio (vedi le iniziative globali contro la xenofobia negli stadi), scandalizzarsi di fronte ai "buu" a Balotelli, quando abbiamo deputati della maggioranza che si vantano di cantare cori contro napoletani, o veronesi, o di Roncobilaccio? Ed è mai possibile che in questo Paese non si dimetta mai nessuno, dal presidente del Consiglio-pappone ai ministri che cantano "abbiamo un sogno nel cuore, bruciare il tricolore" (Bossi, Castelli, Maroni e Calderoli in Svizzera, qualche anno fa), dal capo di un partito condannato per finanziamento illecito (Bossi) al ministro inquisito per corruzione (Fitto) ai tanti deputati con problemi di giustizia, ai giudici costituzionali che vanno a cena con colui il cui destino dipende da una loro sentenza (Mazzella e Napolitano a cena con Berlusconi, Alfano, Ghedini e Gianni Letta) fino ad arrivare al piccolo Salvini? Certi quotidiani, anziché fare 10, 20 o 30 domande a questo o a quello, dovrebbero iniziare ad usare questa parola: DIMISSIONI. Finché l'unico che parla di dimissioni è Di Pietro, considerato ormai alla stregua di un rivoluzionario sandinista, non ci potremo lamentare del perché all'estero tramino per cacciarci via dal G8 a calci nel culo.

UPDATE: Salvini alla fine si è dimesso, ma solo perché "per fare l'europarlamentare avrei dovuto dimettermi", e non per il video. Insomma, dopo Mario Borghezio, Clemente Mastella, Barbara Matera e affini, un altro caso di fuga di cervelli a Bruxelles. Per la serie "esportiamo soltanto il meglio"...

sabato 4 luglio 2009

New Scénic Blogger Family Tour






Tornare con forza nel segmento delle monovolume. E' questo l'obiettivo posto da Renault con la nuova Scénic a 7 posti, pronta da subito a competere con la Ford C-Max e con la Mercedes Classe A. L'abbiamo provata in occasione del Renault New Scénic Blogger Family Tour, insieme ai blogger Beatrice Doria di Blogosfere, Omar Abueideh di Autoblog.it e Sergio Chierici di Virtual Car, in un evento decisamente interessante, organizzato da Renaul Italia e Ammiro Partners. Obiettivo, arrivare dal centro di Roma alla zona dei laghi in provincia di Viterbo.
Larga 1.845 mm, lunga 4.560, alta 1.645, la Scénic presenta un design decisamente più 'tranquillo' rispetto alla versione precedente (come era successo già per la Mégane). E proprio questo, forse, è il suo limite maggiore, poiché rivolgendosi alle famiglie trascura quasi del tutto la bellezza estetica per affidarsi esclusivamente alla comodità. La Scénic presenta una pedaliera più alta rispetto alle altre auto, strumentazione ipertecnologica - seppur incompatibile con l'iPhone e sostanzialmente anche con l'iPod - navigatore satellitare, telecamera posteriore, tachimetro e contachilometri basato su tecnologia TFT. Rispetto alle versioni precedenti, le novità più rilevanti riguardano il telaio, completamente nuovo, della parte anteriore, perfezionato per attenuare il più possibile le vibrazioni del motore, l'uso di un acciaio ad alto assorbimento degli urti e le sospensioni completamente nuove (grazie al ritaramento delle risposte). D'altronde, Renault da qualche anno è incontrastata leader sulla sicurezza.Come abbiamo detto, la nuova Scénic ha 7 posti, a differenza della versione più 'piccola' della monovolume X-Mode, che di posti ne ha 5 (e che verrà presentata a breve). Oltre ai cinque posti canonici, oggettivamente confortevoli (poltroncine comode avanti, spazio sufficiente dietro), vanno infatti ad aggiungersi i due sedili posteriori, non consigliabili per adulti alti più di 1 e 80 o comunque per viaggi lunghi (nello specifico, lo spazio per le gambe è decisamente limitato: inoltre, viaggiare in sette toglie il vantaggio di avere un bagagliaio capiente). Per quanto riguarda le prestazioni, la versione 1.4 TCe a benzina da noi provata (motore di piccola cilindrata, ma in grado di ottenere comunque prestazioni di tutto rispetto) arriva ad una velocità di 195 km/h, passa da 0 a 100 km/h in 12,6 secondi e ha consumi relativamente bassi (7,3 litri/100 km). Confrontando però la versione provata con il 1.5 turbodiesel, si fatica a comprendere come il potenziale consumatore potrebbe preferirla a quest'ultimo, solo per qualche centinaio di euro di differenza (la versione diesel costa 800 euro in più, ma consuma molto meno).
In definitiva, possiamo definire la nuova Scénic con tre aggettivi: all'avanguardia, sicura e confortevole. Non sappiamo se riuscirà a scalfire il dominio della Ford C-Max, né se farà breccia tra le famiglie italiane in un periodo certamente non ideale (soprattutto per il prezzo, non certo quello di una utilitaria: si parte dai 20.000 euro per arrivare anche a 30.000). Ciò di cui siamo certi è che ci prova, anche se, esteticamente parlando, potrebbe fare di più. Anche perché, se è vero che a volte una donna simpatica può essere più attraente di una bellissima, è anche vero che la donna bellissima non passa mai di moda. E la Scénic a noi è risultata parecchio simpatica.

(da Leggo.it)






giovedì 18 giugno 2009

Nessun colpevole

Da quindici lunghi anni ascoltiamo gli slogan di Berlusconi e del suo partito, sempre così diversi e così uguali a se stessi nella loro banalità. Dagli elogi ai magistrati di Mani Pulite nella campagna elettorale del 1994, si passò quasi subito ad un rovesciamento delle gerarchie, dopo l'avviso di garanzia di Napoli che regalò all'allora premier e all'Italia la prima figuraccia internazionale (un avviso di garanzia per corruzione al presidente del Consiglio proprio nei giorni in cui presiedeva una conferenza Onu sulla corruzione). Quell'inchiesta, che non fu decisiva a far cadere il governo come invece si racconta adesso (cadde perché la Lega abbandonò il Polo, e Bossi si prese più volte da Berlusconi la qualifica di 'Giuda' e 'traditore'), non si concluse in un bicchier d'acqua, come al caro Gasparri piace raccontare. La fantasia (e la paura) dei magistrati la fece da padrona: Berlusconi fu prima assolto perché si disse che era suo fratello a corrompere la Guardia di Finanza. Poi suo fratello fu assolto perché si capì che, con quella faccia, non poteva decidere un bel niente: i giudici dissero che era evidente che fosse stato Silvio a decidere tutto, ma Silvio ormai era stato assolto e non si poteva 'ripescare'.
Dopo quel processo ne arrivarono tanti altri, per corruzione giudiziaria, falso in bilancio, finanziamento illecito, tutti finiti in prescrizione o con assoluzioni quanto meno generose. Ciò che sta succedendo nelle ultime settimane però è qualcosa di più. Non si parla solo di fatti penalmente rilevanti come la corruzione di un testimone (Mills, già condannato, Berlusconi fuori dal processo grazie all'apposito lodo Alfano) o di fatti moralmente rilevanti come il rapporto mai spiegato con la minorenne Noemi Letizia (e le barilate di bugie riversate a reti unificate per spiegare la dinamica della sua conoscenza). Le foto di Villa Certosa, le parole minacciose del fotografo Zappadu, i ridicoli tentativi degli house organ berlusconiani di delegittimare questo o quel giornale rivale, il deludente risultato delle elezioni europee, hanno portato un vento diverso nella politica italiana. Intanto, si può tranquillamente dire che questa maggioranza così forte e così solida, piano piano sta tremando sotto i colpi dei continui scandali del suo padrone. Certamente le possibilità che succeda davvero qualcosa, che ci sia quello 'scossone politico' di cui D'Alema parlava domenica scorsa (e le cui parole sono state vergognosamente strumentalizzate da chi ha interesse a spostare sempre l'attenzione dalla luna al dito), sono molto vaghe: prima di far cadere Berlusconi infatti, il centrodestra dovrebbe trovare un altro leader credibile, anche se vincere contro questo centrosinistra abbandonato dai suoi elettori non sembra una missione impossibile. Fini potrebbe essere l'uomo giusto, ma si dice che punti al Quirinale, per cui il favorito è Tremonti. Ma Berlusconi vorrà davvero lasciare lo scettro del comando?
Quel che è certo è che l'ultima inchiesta, quella di Bari svelata da Fiorenza Sarzanini sul Corriere della sera, scotta parecchio. Intanto perché a gestirla non è il solito pm colluso della Procura di Roma, né l'ultimo dei magistrati sardi: a gestirla è infatti Pino Scelsi, magistrato di successo della Procura antimafia di Bari, fama di giudice integerrimo. Poi perché si parla di accuse gravissime, sia penalmente che moralmente: Ghedini può dire ciò che vuole, ma pagare delle ragazze perché vadano in abito da sera a Palazzo Grazioli o a Villa Certosa, e restino lì per la notte, non è la solita marachella da mattacchione. Che credibilità può avere agli occhi dei cittadini un capo di governo che prima vieta categoricamente (e prevede l'arresto per) la prostituzione e poi si circonda di ragazzine prezzolate nelle sue ville? Da fine aprile in poi ne sono successe di cotte e di crude: la sentenza Mills, il divorzio da Veronica, il caso Noemi, ora l'inchiesta di Bari. Berlusconi stesso è nervoso, preoccupato, come ha dimostrato in occasione della visita ad Obama, in cui è rimasto zitto e fermo a pendere dalle labbra del presidente americano. Tutt'altro che il successo di cui parlano i suoi galoppini: i video su YouTube dimostrano che mentre Obama parlava, Berlusconi taceva, evitando anche di sorridere. Successo internazionale? Io non credo proprio. Piuttosto, strategia di leccaculismo diplomatico. D'altronde Silvio era abituato, con Bush, a fare il tappetino, fino a mandare migliaia di nostri soldati in Iraq solo per far contento il guerrafondaio texano (che Berlusconi continua a definire 'un grande presidente', al contrario di ciò che pensa tutto il resto del mondo).
A proposito di politica internazionale, poi, come dimenticare la memorabile visita a Roma di Gheddafi, che prima si presenta ai fotografi con una foto anti-italiana vecchia di 60 anni, poi fa aspettare Fini per due ore (e Fini lo ha mandato a cagare, sacrosanto), infine ci catechizza su quanto siamo fortunati ad avere al governo Berlusconi e non la sinistra (dichiarazioni subito riportate entusiasticamente dal Tg1, vergognoso come mai nella sua storia).
Non stupisce più la faziosità e la mancanza di etica dell'informazione televisiva: ormai ci siamo abituati, anche se negli ultimi anni il peggioramento della qualità dei telegiornali è stato a dir poco tangibile. Stupisce, piuttosto, l'esiguità della fetta di italiani che non credono nella televisione; stupisce il modo in cui Berlusconi e la Lega hanno conquistato la classe operaia (complice una sinistra assolutamente inetta); stupisce il modo in cui il Pdl affascina decine, centinaia di giovani di ogni età e di ogni titolo di studio. E' questo che è preoccupante. Sentire il deejay che in discoteca inneggia a Papi Silvio, seguito da un boato di ammirazione, preoccupa più delle immagini del premier che stringe le mani a tutti, e che viene lodato dai passanti. Se tutto ciò è successo, non dobbiamo dare soltanto la colpa a lui, né a Craxi, né ad altri. Se si deve cercare un colpevole, non c'è che da guardarsi allo specchio.

martedì 13 gennaio 2009

Il signor B. e il 41/bis: un favore alla mafia?

Qualche mese fa, nello specifico il 6 novembre 2008, il ministro della Giustizia Angelino Alfano si presentò ai giornalisti con un sorriso smagliante. Il motivo della sua "allegria" era un provvedimento del suo governo, fortemente voluto da lui (o almeno, così disse): l'"inasprimento" del 41bis. Cos'è il 41bis? "L'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (legge sull'ordinamento penitenziario) - dice Wikipedia - prevede la possibilità per il Ministro della Giustizia di sospendere l'applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti previste dalla stessa legge in casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza ovvero, quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, nei confronti dei detenuti (anche in attesa di giudizio) per reati di criminalità organizzata, terrorismo o eversione. In questo secondo caso la legge specifica le misure applicabili tra cui le principali sono il rafforzamento delle misure di sicurezza con riguardo principalmente alla necessità di prevenire contatti con l'organizzazione criminale di appartenenza, restrizioni nel numero e nella modalità di svolgimento dei colloqui, la limitazione della permanenza all'aperto (cosiddetta "ora d'aria"), la censura della corrispondenza. (...) Il complesso di queste misure è generalmente noto come "carcere duro per i mafiosi". Da più parti ne è stata messa in discussione la rispondenza ai principi generali in tema di trattamento dei detenuti; comunque fino a quasi una ventina d'anni fa la maggior parte della magistratura e delle forze politiche respingevano tali critiche e consideravano queste misure di grande importanza come strumento di lotta alla criminalità organizzata".
Alfano, nei suoi sorrisi compiaciuti, dimenticava una cosa: il 41bis è stato stabilizzato, e di conseguenza svuotato della sua utilità, dal governo Berlusconi II, ministro della Giustizia Roberto Castelli. Se prima, infatti, il regime del carcere duro era prorogabile di sei mesi in sei mesi, con la stabilizzazione per i boss è più facile tornare al regime "normale". Dice Marco Travaglio: "Quando voi sentite il presidente del Senato Schifani dire: "noi nella legislatura del governo Berlusconi II abbiamo stabilizzato un provvedimento che prima era provvisorio e veniva attuato dal ministro della Giustizia di sei mesi in sei mesi, abbiamo stabilizzato per sempre il 41bis", spero che anche lui - ma credo che lo sappia - sia conscio di raccontare favole. Perché il 41bis quando era provvisorio era molto più efficace che oggi quando è diventato legge definitiva. Per quale motivo? Per un motivo molto semplice: quando un provvedimento viene rinnovato di sei mesi in sei mesi i tempi burocratici necessari per il mafioso recluso per chiedere la revoca dell'isolamento, sono talmente lunghi che di solito la risposta alla sua domanda non arriva in tempo in sei mesi, quindi quando gli rispondono c'è già stato un nuovo provvedimento semestrale, contro il quale deve di nuovo ricorrere. I ricorsi, quindi, contro il 41bis non venivano quasi mai accolti perché non si faceva in tempo. Praticamente il 41bis durava molto a lungo ed era molto difficile revocarlo. Ora che è diventato un provvedimento che vale per sempre, preso una volta vale per sempre - o almeno fino a che non ce ne sono i presupposti - i ricorsi sono molto facili perché anche se durano 7-8 mesi ne basta uno perché la persona possa vincerlo, allora si va alla discrezionalità del magistrato singolo il quale ogni volta che riceve il ricorso deve valutare se la persona sia ancora socialmente pericolosa, collegata con l'organizzazione mafiosa. E come fai a saperlo? Come fai a sapere se una persona è potenzialmente pericolosa? Come fai a sapere se ha ancora legami dopo anni che è in carcere? Lo puoi presumere ma se non lo puoi dimostrare, spesso puoi concedere la revoca del 41bis senza alcun rischio e senza alcuna formale irregolarità".
Il 30 dicembre scorso, poco più di un mese dopo i sorrisini di Angelino Alfano, è stato liberato il boss sanguinario Mimmo Ganci. Dice l'Ansa: "I giudici del tribunale di sorveglianza di Roma hanno annullato il 41/bis, il carcere duro, al boss stragista Mimmo Ganci di Palermo. Il mafioso è detenuto nel carcere di Rebibbia perchè deve scontare condanne all'ergastolo, molte delle quali definitive, in particolare per le stragi e alcuni delitti eccellenti compiuti in Sicilia. Ganci è accusato di oltre 40 delitti. I difensori del killer nei mesi scorsi avevano chiesto al tribunale di sorveglianza l'annullamento del carcere duro che è poi stato accolto dal tribunale". Detto, fatto. Ma siamo così sicuri che questo governo, e il precedente governo Berlusconi, stia facendo così tanto per combattere la mafia?

domenica 11 gennaio 2009

Dopo le rivelazioni, la pioggia di insulti. Alla persona sbagliata

MORI (SOTTO PROCESSO) RESPONSABILE PER LA SICUREZZA AL COMUNE DI ROMA. MORASSUT (PD): ALEMANNO RIFERISCA IN CONSIGLIO
ROMA, 11 GEN - «La notizia che il responsabile della sicurezza del Comune di Roma generale Mario Mori, nominato dal sindaco Gianni Alemanno, è sottoposto a processo a Palermo imputato di favoreggiamento aggravato nei confronti dell'ex capo di Cosa nostra Bernardo Provenzano è un fatto serissimo che non può essere lasciato inosservato». È quanto afferma il segretario regionale del Lazio e deputato del Pd Roberto Morassut che chiede un «chiarimento urgente». Nel precisare che «un processo in corso non significa colpevolezza, e questo principio per noi è indiscutibile, e pur rispettando il lungo percorso del generale Mori al servizio dell'Arma riteniamo tuttavia necessario - sottolinea Morassut - un chiarimento urgente. Pensiamo che il sindaco debba assumersi pubblicamente la responsabilità della sua scelta e riferire quanto prima in sede istituzionale sull' andamento della vicenda giudiziaria che vede coinvolto il generale e i suoi possibili sviluppi, affinchè nessuna ombra gravi sulla persona chiamata in causa e sull'istituzione capitolina che ha deciso di avvalersi della sua consulenza, e sulla trasparenza ed efficacia delle politiche per la sicurezza del comune così fortemente invocate dallo stesso Alemanno». (ANSA).

ALEMANNO: PD INFANGA SERVITORE DELLO STATO
ROMA, 11 GEN - «Morassut si potrebbe risparmiare di emettere simili comunicati, che infangano pretestuosamente onesti e gloriosi servitori dello Stato come il generale Mori». Lo afferma, in una nota, il sindaco di Roma Gianni Alemanno. «A prescindere dal fatto che il processo non ha nulla a che vedere con i compiti assegnati dal Comune di Roma al generale Mori, è del tutto evidente - spiega Alemanno - che un rinvio a giudizio non può infangare la dirittura morale di questa persona, di cui sono profondamente convinto». «Per cui - sottolinea Alemanno - non devo rispondere in Consiglio Comunale, perchè mi sono già assunto le responsabilità di questa nomina, che peraltro segue ben più importanti incarichi attribuiti al generale Mori da altre realtà istituzionali, anche quando il procedimento giudiziario era già cominciato». (ANSA).

GIRO (PDL): LA SINISTRA NON HA PIU' NIENTE DA DIRE
ROMA, 11 GEN - «La sinistra in Campidoglio non ha più molto da dire e da proporre e allora si arrampica sugli specchi e si inventa casi che non esistono come quello del generale Mori». Così Francesco Giro, sottosegretario di stato ai beni e alle attività culturali. «Morassut invece di chiedere l'ennesima convocazione straordinaria del Consiglio comunale - dice Giro - impegnato a risanare la disastrosa eredità di Veltroni, farebbe meglio a ricordare che il generale Mori è stato l'uomo che ha reso possibile la cattura del capo mafia Totò Riina nel 1993. Che sempre il generale Mori è stato completamente assolto insieme a Sergio De Caprio, noto come capitano Ultimo, dall'accusa di favoreggiamento nei confronti di Cosa Nostra per la mancata perquisizione del covo di Reina. E che il processo che lo vede ora coinvolto per la mancata cattura di Provenzano è in corso e non si può condannare qualcuno prima della sentenza definitiva, altrimenti non si tratterebbe di un processo equo ma di un teorema politico». (ANSA).

Processo a Mario Mori: rivelazioni scottanti

PALERMO, 9 GEN - «Il generale Mario Mori mi disse di non inserire nel rapporto 'Grande Oriente' i nomi di tutti i politici citati dal confidente Luigi Ilardo. Tra questi c'era anche Marcello Dell'Utri: una persona importante, molto vicina ai nostri ambienti. Io allora ritenni l'inserimento del suo nome un pericolo. Se lo metto, pensai, succede il finimondo». Lo ha detto oggi, rispondendo alle domande del pm Nino Di Matteo, il colonnello dell'Arma Michele Riccio, che ha concluso la sua deposizione nel processo per favoreggiamento aggravato a carico del generale Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu. Riccio, sentito come testimone assistito, ha specificato che Dell'Utri faceva parte dell' «area di riferimento nostra, dell'Arma», area di cui avrebbe fatto parte pure Silvio Berlusconi, e per chiarire il concetto ha sostenuto che entrambi «erano di casa nostra». Al presidente della IV sezione del Tribunale, Mario Fontana, che gli ha chiesto di essere più chiaro, il colonnello ha risposto citando le parole che gli avrebbe detto Mori: «Le 'guerre', loro (Berlusconi e Dell'Utri, ndr) le fanno per noi. Portate più pentiti e vedrete che i pentiti cadranno». Il senso sarebbe stato «combattere i pentiti» per agevolare Giulio Andreotti, sottoposto a un processo per mafia, lo scopo ultimo aiutare tutti gli altri imputati dello stesso reato, come Dell'Utri. (ANSA).

PALERMO, 9 GEN - L'ex ministro della Difesa Cesare Previti regalò un piatto d'argento al generale Mario Mori, «ma fu un regalo di tipo istituzionale, il ringraziamento al Ros, che io rappresentavo, per avere depositato una relazione sui collegamenti internazionali del terrorismo, chiesta dallo stesso onorevole Previti. Il piatto è ancor oggi esposto nella sala in cui il Ros tiene tutti i riconoscimenti e i premi». Lo ha detto Mori, rendendo dichiarazioni spontanee nel processo che lo vede imputato di favoreggiamento aggravato nei confronti del boss Bernardo Provenzano. A parlare del regalo era stato il colonnello Michele Riccio, nella scorsa udienza. «Previti volle incontrarmi - ha detto Mori - e io trovai la cosa abbastanza irrituale. Informai il capo del Ros, il generale Mario Nunzella, che a sua volta chiamò il comandante generale dell'Arma. Ottenute tutte le autorizzazioni, andai». Mori ha parlato anche dei presunti rapporti, suoi e di un fratello, col gruppo Mediaset: «Mio fratello lavorava come responsabile della sicurezza della Standa, quando la catena di supermercati faceva parte della Montedison. Mantenne lo stesso incarico quando il gruppo Standa fu acquisito dalla Fininvest, ma vi rimase per un paio d'anni e poi andò via». Il processo riguarda la mancata cattura di Bernardo Provenzano, la cui presenza a Mezzojuso(Palermo) era stata segnalata dal confidente Luigi Ilardo a Michele Riccio. (ANSA).