venerdì 31 luglio 2009

Istruzioni per l'uso

«Girotondi per Marino»: una lista e un programma in 11 punti per vincere congresso e primarie, ma soprattutto una sorta di «istruzioni per l'uso» che consentano di cacciare dal vertice del Pd i dirigenti con i quali «non vinceremo mai». L'iniziativa è del direttore di Micromega, Paolo Flores D'Arcais, che rivolge un appello ai lettori e agli iscritti democratici. «Cari amici e compagni, ma soprattutto concittadini - è l'incipit - vi chiedo solo alcuni minuti di attenzione. Con questi dirigenti (del Partito democratico) non vinceremo mai. Se non vogliamo tenerci Berlusconi a vita, dunque, questi dirigenti dobbiamo estrometterli tutti». «Propongo - afferma - di dare vita ad una lista dal nome provvisorio 'girotondi per Marino', per indicare un sostegno che viene da quanti hanno rifiutato con le lotte ogni ipotesi di inciucio, perchè giudicano quello di Berlusconi un regime putiniano che sta riducendo l'Italia in macerie (morali, istituzionali, sociali, culturali, economiche)». Undici gli «irrinunciabili impegni programmatici» di questa lista che è possibile leggere sul sito internet. Flores D'Arcais passa poi a elencare le «istruzioni» per cacciare la nomenklatura dei perdenti, a partire dalle circa 7/8 mila firme necessarie per portare mille candidati per l'assemblea nazionale: «Il tutto - spiega - entro settembre. Tutto ciò è difficile ma non è impossibile. Per questo chiedo a coloro che condividono gli undici punti e sono iscritti al Pd di mandare a girotondipermarino gmail.com nome, cognome, provincia e città di residenza, circolo del Pd a cui si è iscritti, disponibilità a firmare ma anche ad essere candidati, e altri elementi della propria biografia di impegno politico che ritengano utile comunicare». «Coinvolgere ottomila persone, senza uno straccio di apparato organizzativo, per pura passione civile, senza prospettive di cariche e prebende, sembra una follia. Ma sono milioni i concittadini democratici che vorrebbero un nuovo partito senza i dirigenti con i quali 'non vinceremo maì». «Questa follia - conclude - è possibile. Possiamo estrometterli dal Pd e fare di questo partito uno strumento per cacciare Berlusconi». (ANSA)

giovedì 16 luglio 2009

Il Partito antidemocratico


Alle politiche del 2001 non avevo ancora 18 anni, dunque non votavo. Il mio battesimo del fuoco, parlando di elezioni, è stato alle europee del 2004: votai Ds, votai Michele Santoro, che anche grazie al mio voto fu eletto e andò a Bruxelles, dove doveva lottare per la libertà di informazione e da dove poi si dimise per andare a Rockpolitik da Celentano, e infine per tornare in tv con Annozero. Nel 2005, alle regionali scelsi di votare solo il presidente, Vendola obviously, senza dare preferenze ad alcuno. Nel 2006 votai Ulivo, perché credevo in Prodi e in quello che doveva essere il suo governo, salvo restare delusissimo da gran parte dei suoi esponenti. Ed è stato per questo che, dalle politiche 2008 in avanti, ho scelto di votare Italia dei valori. Non, sia chiaro, perché ritenga che Di Pietro possa diventare premier o possa rifondare la sinistra - le sue idee non hanno nulla di sinistra, anche se il suo elettorato è fortemente antiberlusconiano: ma per essere berlusconiani non occorre essere di sinistra - ma perché tutti gli altri mi hanno talmente deluso che scelsi di votare per colui che urla più forte contro questa dittatura. E Di Pietro urla, fortissimo.
In altre parole, non ho mai votato per il Partito democratico. Come ho detto, a parte le politiche del 2006 - in cui votai Ulivo pentendomi - l'unica volta che ho votato per i Ds l'ho fatto solo per dare il mio voto a Santoro. Avrei voluto recarmi alle primarie dell'Unione del 2005 per votare Prodi, ma non ci andai. Avrei voluto recarmi alle primarie del Pd, quelle dell'incoronazione di Veltroni, ma non ci andai: e se ci fossi andato, avrei votato presumibilmente Rosy Bindi. Tutto ciò sta a dimostrare che io, con il Pd, c'entro poco. Ogni volta, poi, che qualcuno parla con me, non esito a spalare quantità industriali di merda sui dirigenti democratici, perché campioni di inciuci e di riciclaggio politico e soprattutto perché non hanno ancora capito che, se il Pd non ha un'identità politica ben precisa e se i suoi elettori lo stanno abbandonando, la colpa è per la maggior parte la loro: dei vari Fassino, D'Alema, Rutelli, Fioroni, Latorre. Interessati più alle poltrone e al potere che alla giustizia sociale o al benessere dei loro concittadini.
Eppure, se domani mattina decidessi di iscrivermi al Pd, cosa dovrei fare? Dovrei andare nel circolo della mia città - in questo caso, Ostuni - e i dirigenti del circolo dovrebbero decidere se rilasciarmi o no la tessera. In questo caso, anche per la presenza di mio cugino nel partito a livello locale, non ci sarebbero problemi e io diventerei un militante del Partito democratico. Eppure, io non ho mai votato per il Partito democratico, e detesto i suoi dirigenti. Se poi volessi, potrei anche candidarmi a segretario: mi basterebbe raccogliere le firme in qualche regione e presentare la mia candidatura entro una certa data. Se riuscissi a farlo, si candiderebbe a segretario del Pd una persona che per il Pd non ha mai votato, e che non ha nessuna stima dei suoi dirigenti. Voi direte: dove voglio andare a parare?
Il fatto che io - in quanto cittadino - possa fare una cosa del genere, ci sta nel meccanismo di un partito davvero democratico. Eppure negli ultimi giorni un comune cittadino ha scelto di mettersi in gioco e di correre per la carica come quinto candidato, dopo Franceschini, Bersani, Marino e Adinolfi. Questo comune cittadino ha presentato il suo programma, radicalmente diverso dai programmi degli altri (anche se, dei programmi degli altri, si sa poco o nulla), ha richiesto la tessera del partito ed ha iniziato a raccogliere le firme. Ma la tessera gli è stata negata. Il suo nome, come avrete capito, è Beppe Grillo.
Allora ci si dovrebbe chiedere: il Partito democratico è davvero democratico? Si può definire democratico un partito che nega la tessera ad un cittadino che non ha mai militato in nessun altro partito, che presenta un programma, che rispetta le regole per la candidatura? La tessera del Pd, negli ultimi anni, non si è negata a nessuno. Dai pregiudicati come Enzo Carra (condannato definitivo per falsa testimonianza durante Mani pulite) agli iperriciclati come Marco Follini (già segretario dell'Udc e vicepremier del governo Berlusconi III), dalle raccomandate di lusso come Marianna Madia (portata in Parlamento in quanto "amica di Enrico Letta", o ricordo male?) agli indagati per mafia come Vladimiro 'Mirello' Crisafulli (filmato dai Carabinieri a cena con il boss di Enna, mentre parlavano di appalti), per finire al presunto stupratore seriale di Roma. E questo dovrebbe essere il partito nuovo? Gli stupratori, i mafiosi, i voltagabbana e i raccomandati sì e Beppe Grillo no?
Se il Pd fosse stato un partito serio, avrebbe detto a Grillo: candidati, gareggia con gli altri aspiranti segretari, presenta il tuo programma, gli elettori delle primarie ti giudicheranno. Ma sappi che prima di tutto non tollereremo i tuoi soliti toni qualunquisti, e che se vinci dovrai ascoltare la voce di tutti e non decidere da solo, mentre se perdi dovrai lottare insieme a noi. Questo, avrebbe fatto un partito serio. Avrebbe accolto un cittadino e i suoi seguaci e avrebbe sfruttato quest'occasione per aprire gli occhi sulla società italiana, così lontana dai dirigenti del Pd. Ciò che è evidente, però, in tutta questa storia, è la contraddizione dello strumento delle primarie, contraddizione che era già venuta fuori in occasione delle elezioni che incoronarono Veltroni: finchè c'è un candidato forte e tanti candidati deboli senza idee, va bene; se però si presenta qualcuno con idee diverse, innovative, e soprattutto con serie possibilità di vincere, non va più bene. In quell'occasione, i trombati furono Furio Colombo e Antonio Di Pietro. Grillo aveva serie possibilità di diventare segretario del Pd, e facendolo avrebbe spazzato via l'eterna lotta Veltroni-D'Alema (stavolta travestiti da Franceschini e Bersani, senza nulla togliere all'onestà di questi due) che ha triturato e raso al suolo la sinistra italiana degli ultimi venti anni. Ciò dava fastidio alla nomenklatura, troppo fastidio.
Concludo chiarendo una cosa molto importante: il tema sul quale occorre concentrarsi non è tanto se Grillo avesse o no la statura politica per fare il segretario del secondo partito italiano. Non è se Grillo avesse un programma o no. Non è se Grillo potesse o no diventare membro di un partito su cui aveva sparato a pallettoni ogni giorno negli ultimi due anni. Il tema è se un partito ha il diritto di negare la propria tessera ad un cittadino senza un motivo valido. E questo precedente dimostra che il Pd, fonte di sì tanta speranza da parte dei giovani della sua base (che difficilmente, a mio parere, si riconoscono nelle deliranti parole del loro segretario Raciti), nato da meno di due anni, è già entrato in un coma a dir poco profondo.

martedì 14 luglio 2009

Zurlo on demand aderisce allo sciopero dei blogger


Zurlo on demand aderisce allo sciopero contro la legge Alfano, che limita la libertà di informazione. Invece dei consueti post, i blog italiani metteranno on line solo il logo della protesta, con un link al manifesto per il Diritto alla Rete: http://dirittoallarete.ning.com. Con un emendamento del ddl intercettazioni, il governo vorrebbe mettere il bavaglio alla Rete, obbligando tutti i "gestori di siti informatici" (senza alcuna distinzione tra blog, Twitter, Facebook o testate registrate) alla rettifica di post, commenti e altre informazioni a 48 ore dalla richiesta pena una sanzione dai 15 ai 25 milioni di vecchie lire. Un altro tentativo di imbavagliare la Rete dopo gli emendamenti e i disegni di legge che già sottolineavano la volontà della classe politica di arginare la Rete, peraltro senza conoscere la materia su cui vorrebbero imporre limiti e condizioni.

martedì 7 luglio 2009

Let's kick Salvini out


E' divertente vedere come in Italia si possa dire e fare tutto e il contrario di tutto senza aver paura di pagarne mai le conseguenze. Senza scomodare i gravi casi Parmalat e Cirio (Tanzi e Cragnotti non marciranno in carcere che per pochi mesi, chissà cosa ne pensa Madoff, condannato a 150 anni), un esempio calzante si può trovare nel calcio. Ebbene sì, lo sport più popolare e seguito del nostro belpaese. Solo un mese fa, il 18enne Mario Balotelli, talento dell'Inter e della Nazionale Under 21, prendeva parte agli europei di categoria, e c'era chi si preoccupava per lui e per i cori e le provocazioni di cui era stato vittima. In campionato, il più gettonato era "Non ci sono negri italiani". In campo internazionale, ai "buu" dagli spalti si aggiungevano le provocazioni dei giocatori in campo, ben consapevoli della debolezza psicologica dell'interista. E cosa dicevano opinionisti e tuttologi nostrani? Il razzismo è "stupido", "non è degno di un paese civile", "Balotelli è italiano come noi", eccetera eccetera.
Qualcuno ha dimenticato però che il 7 maggio scorso, un certo deputato leghista, tale Matteo Salvini, da leghista convinto e "da milanese che prende il tram", aveva avanzato una piccola proposta: a Milano ci sono troppi extracomunitari e tolgono, oltre "al lavoro agli italiani" (pezzo forte delle campagne elettorali della Lega Nord), anche i posti a sedere ai milanesi. Perciò la soluzione, per questo giovane "onorevole", era riservare posti ai milanesi, distinguendogli dagli "altri". Proposta appoggiata anche da una sua collega di partito, Raffaella Piccinni (e poi dicono che servono le quote rosa), con una differenza: anziché la distinzione "milanesi-altri", un'altra distinzione, cioè "extracomunitari-altri". Un'idea in puro stile apartheid, 15 anni dopo l'abolizione della segregazione razziale in Sudafrica. Se Nelson Mandela fosse morto, si rivolterebbe nella tomba: per fortuna è vivo, e non sarebbe male chiedergli una sua opinione.
La proposta di Salvini&Piccinni passò quasi inosservata, considerata "la solita idea razzista della Lega", come si parla delle marachelle di qualche ragazzino. Il problema è che non si parla di ragazzini capricciosi: si parla di un partito che è al governo. Oggi l'eroe Salvini torna a far parlare di sè, con un video, pubblicato da Repubblica e che ha fatto velocemente il giro del web, in cui intona cori da stadio offensivi verso i napoletani. "Senti che puzza, scappano anche i cani. Sono arrivati i napoletani...Son colerosi e terremotati...Con il sapone non si sono mai lavati...". Il deputato leghista, dopo essere stato attaccato, curiosamente, esclusivamente da politici di origini campane, si è incredibilmente difeso così: "La politica è questo governo, che ha ripulito Napoli da rifiuti e schifezze dopo anni di degrado. Il video in cui canto invece è un'altra cosa, è una festa tra amici che nulla c'entra con la politica, nel corso della quale si sono cantate canzoni da stadio. Quella messa in rete è la canzone sfottò che si canta ai tifosi del Napoli e poi ne abbiamo cantata subito dopo una contro il Verona". La famosa par condicio da stadio.
Allora umilmente mi chiedo: che senso ha, in un'Europa in cui la lotta al razzismo è affrontata in modo serio (vedi le iniziative globali contro la xenofobia negli stadi), scandalizzarsi di fronte ai "buu" a Balotelli, quando abbiamo deputati della maggioranza che si vantano di cantare cori contro napoletani, o veronesi, o di Roncobilaccio? Ed è mai possibile che in questo Paese non si dimetta mai nessuno, dal presidente del Consiglio-pappone ai ministri che cantano "abbiamo un sogno nel cuore, bruciare il tricolore" (Bossi, Castelli, Maroni e Calderoli in Svizzera, qualche anno fa), dal capo di un partito condannato per finanziamento illecito (Bossi) al ministro inquisito per corruzione (Fitto) ai tanti deputati con problemi di giustizia, ai giudici costituzionali che vanno a cena con colui il cui destino dipende da una loro sentenza (Mazzella e Napolitano a cena con Berlusconi, Alfano, Ghedini e Gianni Letta) fino ad arrivare al piccolo Salvini? Certi quotidiani, anziché fare 10, 20 o 30 domande a questo o a quello, dovrebbero iniziare ad usare questa parola: DIMISSIONI. Finché l'unico che parla di dimissioni è Di Pietro, considerato ormai alla stregua di un rivoluzionario sandinista, non ci potremo lamentare del perché all'estero tramino per cacciarci via dal G8 a calci nel culo.

UPDATE: Salvini alla fine si è dimesso, ma solo perché "per fare l'europarlamentare avrei dovuto dimettermi", e non per il video. Insomma, dopo Mario Borghezio, Clemente Mastella, Barbara Matera e affini, un altro caso di fuga di cervelli a Bruxelles. Per la serie "esportiamo soltanto il meglio"...

sabato 4 luglio 2009

New Scénic Blogger Family Tour






Tornare con forza nel segmento delle monovolume. E' questo l'obiettivo posto da Renault con la nuova Scénic a 7 posti, pronta da subito a competere con la Ford C-Max e con la Mercedes Classe A. L'abbiamo provata in occasione del Renault New Scénic Blogger Family Tour, insieme ai blogger Beatrice Doria di Blogosfere, Omar Abueideh di Autoblog.it e Sergio Chierici di Virtual Car, in un evento decisamente interessante, organizzato da Renaul Italia e Ammiro Partners. Obiettivo, arrivare dal centro di Roma alla zona dei laghi in provincia di Viterbo.
Larga 1.845 mm, lunga 4.560, alta 1.645, la Scénic presenta un design decisamente più 'tranquillo' rispetto alla versione precedente (come era successo già per la Mégane). E proprio questo, forse, è il suo limite maggiore, poiché rivolgendosi alle famiglie trascura quasi del tutto la bellezza estetica per affidarsi esclusivamente alla comodità. La Scénic presenta una pedaliera più alta rispetto alle altre auto, strumentazione ipertecnologica - seppur incompatibile con l'iPhone e sostanzialmente anche con l'iPod - navigatore satellitare, telecamera posteriore, tachimetro e contachilometri basato su tecnologia TFT. Rispetto alle versioni precedenti, le novità più rilevanti riguardano il telaio, completamente nuovo, della parte anteriore, perfezionato per attenuare il più possibile le vibrazioni del motore, l'uso di un acciaio ad alto assorbimento degli urti e le sospensioni completamente nuove (grazie al ritaramento delle risposte). D'altronde, Renault da qualche anno è incontrastata leader sulla sicurezza.Come abbiamo detto, la nuova Scénic ha 7 posti, a differenza della versione più 'piccola' della monovolume X-Mode, che di posti ne ha 5 (e che verrà presentata a breve). Oltre ai cinque posti canonici, oggettivamente confortevoli (poltroncine comode avanti, spazio sufficiente dietro), vanno infatti ad aggiungersi i due sedili posteriori, non consigliabili per adulti alti più di 1 e 80 o comunque per viaggi lunghi (nello specifico, lo spazio per le gambe è decisamente limitato: inoltre, viaggiare in sette toglie il vantaggio di avere un bagagliaio capiente). Per quanto riguarda le prestazioni, la versione 1.4 TCe a benzina da noi provata (motore di piccola cilindrata, ma in grado di ottenere comunque prestazioni di tutto rispetto) arriva ad una velocità di 195 km/h, passa da 0 a 100 km/h in 12,6 secondi e ha consumi relativamente bassi (7,3 litri/100 km). Confrontando però la versione provata con il 1.5 turbodiesel, si fatica a comprendere come il potenziale consumatore potrebbe preferirla a quest'ultimo, solo per qualche centinaio di euro di differenza (la versione diesel costa 800 euro in più, ma consuma molto meno).
In definitiva, possiamo definire la nuova Scénic con tre aggettivi: all'avanguardia, sicura e confortevole. Non sappiamo se riuscirà a scalfire il dominio della Ford C-Max, né se farà breccia tra le famiglie italiane in un periodo certamente non ideale (soprattutto per il prezzo, non certo quello di una utilitaria: si parte dai 20.000 euro per arrivare anche a 30.000). Ciò di cui siamo certi è che ci prova, anche se, esteticamente parlando, potrebbe fare di più. Anche perché, se è vero che a volte una donna simpatica può essere più attraente di una bellissima, è anche vero che la donna bellissima non passa mai di moda. E la Scénic a noi è risultata parecchio simpatica.

(da Leggo.it)