martedì 13 gennaio 2009

Il signor B. e il 41/bis: un favore alla mafia?

Qualche mese fa, nello specifico il 6 novembre 2008, il ministro della Giustizia Angelino Alfano si presentò ai giornalisti con un sorriso smagliante. Il motivo della sua "allegria" era un provvedimento del suo governo, fortemente voluto da lui (o almeno, così disse): l'"inasprimento" del 41bis. Cos'è il 41bis? "L'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (legge sull'ordinamento penitenziario) - dice Wikipedia - prevede la possibilità per il Ministro della Giustizia di sospendere l'applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti previste dalla stessa legge in casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza ovvero, quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, nei confronti dei detenuti (anche in attesa di giudizio) per reati di criminalità organizzata, terrorismo o eversione. In questo secondo caso la legge specifica le misure applicabili tra cui le principali sono il rafforzamento delle misure di sicurezza con riguardo principalmente alla necessità di prevenire contatti con l'organizzazione criminale di appartenenza, restrizioni nel numero e nella modalità di svolgimento dei colloqui, la limitazione della permanenza all'aperto (cosiddetta "ora d'aria"), la censura della corrispondenza. (...) Il complesso di queste misure è generalmente noto come "carcere duro per i mafiosi". Da più parti ne è stata messa in discussione la rispondenza ai principi generali in tema di trattamento dei detenuti; comunque fino a quasi una ventina d'anni fa la maggior parte della magistratura e delle forze politiche respingevano tali critiche e consideravano queste misure di grande importanza come strumento di lotta alla criminalità organizzata".
Alfano, nei suoi sorrisi compiaciuti, dimenticava una cosa: il 41bis è stato stabilizzato, e di conseguenza svuotato della sua utilità, dal governo Berlusconi II, ministro della Giustizia Roberto Castelli. Se prima, infatti, il regime del carcere duro era prorogabile di sei mesi in sei mesi, con la stabilizzazione per i boss è più facile tornare al regime "normale". Dice Marco Travaglio: "Quando voi sentite il presidente del Senato Schifani dire: "noi nella legislatura del governo Berlusconi II abbiamo stabilizzato un provvedimento che prima era provvisorio e veniva attuato dal ministro della Giustizia di sei mesi in sei mesi, abbiamo stabilizzato per sempre il 41bis", spero che anche lui - ma credo che lo sappia - sia conscio di raccontare favole. Perché il 41bis quando era provvisorio era molto più efficace che oggi quando è diventato legge definitiva. Per quale motivo? Per un motivo molto semplice: quando un provvedimento viene rinnovato di sei mesi in sei mesi i tempi burocratici necessari per il mafioso recluso per chiedere la revoca dell'isolamento, sono talmente lunghi che di solito la risposta alla sua domanda non arriva in tempo in sei mesi, quindi quando gli rispondono c'è già stato un nuovo provvedimento semestrale, contro il quale deve di nuovo ricorrere. I ricorsi, quindi, contro il 41bis non venivano quasi mai accolti perché non si faceva in tempo. Praticamente il 41bis durava molto a lungo ed era molto difficile revocarlo. Ora che è diventato un provvedimento che vale per sempre, preso una volta vale per sempre - o almeno fino a che non ce ne sono i presupposti - i ricorsi sono molto facili perché anche se durano 7-8 mesi ne basta uno perché la persona possa vincerlo, allora si va alla discrezionalità del magistrato singolo il quale ogni volta che riceve il ricorso deve valutare se la persona sia ancora socialmente pericolosa, collegata con l'organizzazione mafiosa. E come fai a saperlo? Come fai a sapere se una persona è potenzialmente pericolosa? Come fai a sapere se ha ancora legami dopo anni che è in carcere? Lo puoi presumere ma se non lo puoi dimostrare, spesso puoi concedere la revoca del 41bis senza alcun rischio e senza alcuna formale irregolarità".
Il 30 dicembre scorso, poco più di un mese dopo i sorrisini di Angelino Alfano, è stato liberato il boss sanguinario Mimmo Ganci. Dice l'Ansa: "I giudici del tribunale di sorveglianza di Roma hanno annullato il 41/bis, il carcere duro, al boss stragista Mimmo Ganci di Palermo. Il mafioso è detenuto nel carcere di Rebibbia perchè deve scontare condanne all'ergastolo, molte delle quali definitive, in particolare per le stragi e alcuni delitti eccellenti compiuti in Sicilia. Ganci è accusato di oltre 40 delitti. I difensori del killer nei mesi scorsi avevano chiesto al tribunale di sorveglianza l'annullamento del carcere duro che è poi stato accolto dal tribunale". Detto, fatto. Ma siamo così sicuri che questo governo, e il precedente governo Berlusconi, stia facendo così tanto per combattere la mafia?

domenica 11 gennaio 2009

Dopo le rivelazioni, la pioggia di insulti. Alla persona sbagliata

MORI (SOTTO PROCESSO) RESPONSABILE PER LA SICUREZZA AL COMUNE DI ROMA. MORASSUT (PD): ALEMANNO RIFERISCA IN CONSIGLIO
ROMA, 11 GEN - «La notizia che il responsabile della sicurezza del Comune di Roma generale Mario Mori, nominato dal sindaco Gianni Alemanno, è sottoposto a processo a Palermo imputato di favoreggiamento aggravato nei confronti dell'ex capo di Cosa nostra Bernardo Provenzano è un fatto serissimo che non può essere lasciato inosservato». È quanto afferma il segretario regionale del Lazio e deputato del Pd Roberto Morassut che chiede un «chiarimento urgente». Nel precisare che «un processo in corso non significa colpevolezza, e questo principio per noi è indiscutibile, e pur rispettando il lungo percorso del generale Mori al servizio dell'Arma riteniamo tuttavia necessario - sottolinea Morassut - un chiarimento urgente. Pensiamo che il sindaco debba assumersi pubblicamente la responsabilità della sua scelta e riferire quanto prima in sede istituzionale sull' andamento della vicenda giudiziaria che vede coinvolto il generale e i suoi possibili sviluppi, affinchè nessuna ombra gravi sulla persona chiamata in causa e sull'istituzione capitolina che ha deciso di avvalersi della sua consulenza, e sulla trasparenza ed efficacia delle politiche per la sicurezza del comune così fortemente invocate dallo stesso Alemanno». (ANSA).

ALEMANNO: PD INFANGA SERVITORE DELLO STATO
ROMA, 11 GEN - «Morassut si potrebbe risparmiare di emettere simili comunicati, che infangano pretestuosamente onesti e gloriosi servitori dello Stato come il generale Mori». Lo afferma, in una nota, il sindaco di Roma Gianni Alemanno. «A prescindere dal fatto che il processo non ha nulla a che vedere con i compiti assegnati dal Comune di Roma al generale Mori, è del tutto evidente - spiega Alemanno - che un rinvio a giudizio non può infangare la dirittura morale di questa persona, di cui sono profondamente convinto». «Per cui - sottolinea Alemanno - non devo rispondere in Consiglio Comunale, perchè mi sono già assunto le responsabilità di questa nomina, che peraltro segue ben più importanti incarichi attribuiti al generale Mori da altre realtà istituzionali, anche quando il procedimento giudiziario era già cominciato». (ANSA).

GIRO (PDL): LA SINISTRA NON HA PIU' NIENTE DA DIRE
ROMA, 11 GEN - «La sinistra in Campidoglio non ha più molto da dire e da proporre e allora si arrampica sugli specchi e si inventa casi che non esistono come quello del generale Mori». Così Francesco Giro, sottosegretario di stato ai beni e alle attività culturali. «Morassut invece di chiedere l'ennesima convocazione straordinaria del Consiglio comunale - dice Giro - impegnato a risanare la disastrosa eredità di Veltroni, farebbe meglio a ricordare che il generale Mori è stato l'uomo che ha reso possibile la cattura del capo mafia Totò Riina nel 1993. Che sempre il generale Mori è stato completamente assolto insieme a Sergio De Caprio, noto come capitano Ultimo, dall'accusa di favoreggiamento nei confronti di Cosa Nostra per la mancata perquisizione del covo di Reina. E che il processo che lo vede ora coinvolto per la mancata cattura di Provenzano è in corso e non si può condannare qualcuno prima della sentenza definitiva, altrimenti non si tratterebbe di un processo equo ma di un teorema politico». (ANSA).

Processo a Mario Mori: rivelazioni scottanti

PALERMO, 9 GEN - «Il generale Mario Mori mi disse di non inserire nel rapporto 'Grande Oriente' i nomi di tutti i politici citati dal confidente Luigi Ilardo. Tra questi c'era anche Marcello Dell'Utri: una persona importante, molto vicina ai nostri ambienti. Io allora ritenni l'inserimento del suo nome un pericolo. Se lo metto, pensai, succede il finimondo». Lo ha detto oggi, rispondendo alle domande del pm Nino Di Matteo, il colonnello dell'Arma Michele Riccio, che ha concluso la sua deposizione nel processo per favoreggiamento aggravato a carico del generale Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu. Riccio, sentito come testimone assistito, ha specificato che Dell'Utri faceva parte dell' «area di riferimento nostra, dell'Arma», area di cui avrebbe fatto parte pure Silvio Berlusconi, e per chiarire il concetto ha sostenuto che entrambi «erano di casa nostra». Al presidente della IV sezione del Tribunale, Mario Fontana, che gli ha chiesto di essere più chiaro, il colonnello ha risposto citando le parole che gli avrebbe detto Mori: «Le 'guerre', loro (Berlusconi e Dell'Utri, ndr) le fanno per noi. Portate più pentiti e vedrete che i pentiti cadranno». Il senso sarebbe stato «combattere i pentiti» per agevolare Giulio Andreotti, sottoposto a un processo per mafia, lo scopo ultimo aiutare tutti gli altri imputati dello stesso reato, come Dell'Utri. (ANSA).

PALERMO, 9 GEN - L'ex ministro della Difesa Cesare Previti regalò un piatto d'argento al generale Mario Mori, «ma fu un regalo di tipo istituzionale, il ringraziamento al Ros, che io rappresentavo, per avere depositato una relazione sui collegamenti internazionali del terrorismo, chiesta dallo stesso onorevole Previti. Il piatto è ancor oggi esposto nella sala in cui il Ros tiene tutti i riconoscimenti e i premi». Lo ha detto Mori, rendendo dichiarazioni spontanee nel processo che lo vede imputato di favoreggiamento aggravato nei confronti del boss Bernardo Provenzano. A parlare del regalo era stato il colonnello Michele Riccio, nella scorsa udienza. «Previti volle incontrarmi - ha detto Mori - e io trovai la cosa abbastanza irrituale. Informai il capo del Ros, il generale Mario Nunzella, che a sua volta chiamò il comandante generale dell'Arma. Ottenute tutte le autorizzazioni, andai». Mori ha parlato anche dei presunti rapporti, suoi e di un fratello, col gruppo Mediaset: «Mio fratello lavorava come responsabile della sicurezza della Standa, quando la catena di supermercati faceva parte della Montedison. Mantenne lo stesso incarico quando il gruppo Standa fu acquisito dalla Fininvest, ma vi rimase per un paio d'anni e poi andò via». Il processo riguarda la mancata cattura di Bernardo Provenzano, la cui presenza a Mezzojuso(Palermo) era stata segnalata dal confidente Luigi Ilardo a Michele Riccio. (ANSA).