domenica 2 dicembre 2007

Intercettazioni, la Corte sentenzia


Ha avuto poco spazio sui principali media italiani, ma l'importanza della sentenza n.390 della Corte Costituzionale, datata 24 novembre, non è da sottovalutare. Chiamata in causa dal Gip di Torino nel gennaio dello scorso anno, la Suprema Corte è intervenuta nel delicato campo delle intercettazioni telefoniche, la cui divulgazione, soprattutto quando coinvolgono uomini politici o comunque personaggi pubblici, richiama sempre roventi polemiche. Nello specifico, la Corte analizza la legge 140/03 (legge Boato) che stabiliva che, se nel corso di intercettazioni nei confronti di terzi venivano fortuitamente registrate le conversazioni di un parlamentare, il giudice doveva chiedere l’autorizzazione alla Camera di appartenenza anche se intendeva utilizzarle solo nei confronti dei terzi; se la Camera di appartenenza nega l'autorizzazione, le intercettazioni vengono eliminate dalle prove a carico degli stessi soggetti e distrutte entro 10 giorni. La Costituzione prevedeva la richiesta dell'autorizzazione per evitare intenti persecutori verso i parlamentari da parte di una magistratura che, a pochi anni dalla fine del fascismo, non era ancora un modello di indipendenza, ma non prevedeva questa tutela anche nel caso di indagini sui soggetti terzi. Per questo motivo la Corte ha dichiarato illegittimi i commi 2, 5 e 6 dell'art.6 della legge Boato, «nella parte in cui stabilisce che la disciplina ivi prevista si applichi anche nei casi in cui le intercettazioni debbano essere utilizzate nei confronti di soggetti diversi dal membro del Parlamento, le cui conversazioni o comunicazioni sono state intercettate».

La sentenza non entra nei casi delle intercettazioni, non rilevanti penalmente, pubblicate dai giornali ma lascia intravedere che la tutela della riservatezza e dell’onore dei «terzi innocenti» non potrà essere assoluta, specie quando vi è un interesse pubblico (come nel caso delle intercettazioni Rai delle scorse settimane), in modo che la rilevanza processuale o meno di alcune notizie non sacrifichi il diritto dei cittadini ad essere informati, tutelato dalla Costituzione.

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