
Travaglio ha infatti notato con quale giubilo i giornali e le televisioni italiane hanno accolto l'elezione alla seconda carica dello Stato dell'ex capogruppo al Senato di Forza Italia, senza ricordare il suo passato "scomodo"; Schifani ha infatti sul groppone un paio di amicizie sconsiderate - per dirla con D'Avanzo - Benny D'Agostino e Nino Mandalà, suoi ex soci in affari nella Sicilia Brokers, e con cui mantenne rapporti almeno fino alla metà degli anni '90. D'Agostino e Mandalà sono stati poi arrestati e condannati per mafia nel 1998, ma anche se è difficile credere che mafiosi lo siano diventati solo dopo il 1996, in un paese normale chi arriva a presiedere la Camera alta del Parlamento dovrebbe spiegare queste liaisons dangereuses, se non ai giornalisti, almeno agli elettori.
La gogna ha invece travolto colui che ha sollevato il problema, per la ormai vecchia e stolta abitudine italiana di guardare il dito anzichè la luna. Travaglio è stato accusato di linciaggio, di vilipendio, di aver insultato sulla tv pubblica e "senza contraddittorio" (a ridaje) la seconda carica dello Stato; Fazio, che lo ospitava, è stato costretto a scusarsi in diretta e a dissociarsi dalle parole del suo intervistato. Gli affondi più duri però non sono arrivati dal centrodestra (gli attacchi di un Gasparri o di un Landolfi lasciano il tempo che trovano), ma da due personaggi di rilievo del Partito Democratico - Luciano Violante e Anna Finocchiaro, quest'ultima reduce dal disastro alle regionali in Sicilia - i cui elettori stanno probabilmente iniziando a chiedersi quale fosse il mandato elettorale del Pd e se nello stesso fosse compresa la difesa della libertà di stampa e di opinione.
Chiaramente, alle sterili polemiche derivanti dal riassestamento della tv pubblica con il nuovo governo appena nominato non siamo così disabituati; ciò che colpisce ancora una volta è l'intoccabilità della televisione. Come sette anni fa con Luttazzi, ancora una volta si alza un polverone assurdo per un fatto già ampiamente trattato da libri e giornali (I complici di Lirio Abbate e Peter Gomez, Se li conosci li eviti dello stesso Gomez e Marco Travaglio, gli articoli di Travaglio su l'Unità), solo perchè certi argomenti devono necessariamente essere banditi dalla televisione generalista. Ma se sette anni fa certi mazzolamenti censorei erano un minimo contrastati dall'opposizione, adesso avvengono nel più totale ed assordante silenzio.
La gogna ha invece travolto colui che ha sollevato il problema, per la ormai vecchia e stolta abitudine italiana di guardare il dito anzichè la luna. Travaglio è stato accusato di linciaggio, di vilipendio, di aver insultato sulla tv pubblica e "senza contraddittorio" (a ridaje) la seconda carica dello Stato; Fazio, che lo ospitava, è stato costretto a scusarsi in diretta e a dissociarsi dalle parole del suo intervistato. Gli affondi più duri però non sono arrivati dal centrodestra (gli attacchi di un Gasparri o di un Landolfi lasciano il tempo che trovano), ma da due personaggi di rilievo del Partito Democratico - Luciano Violante e Anna Finocchiaro, quest'ultima reduce dal disastro alle regionali in Sicilia - i cui elettori stanno probabilmente iniziando a chiedersi quale fosse il mandato elettorale del Pd e se nello stesso fosse compresa la difesa della libertà di stampa e di opinione.
Chiaramente, alle sterili polemiche derivanti dal riassestamento della tv pubblica con il nuovo governo appena nominato non siamo così disabituati; ciò che colpisce ancora una volta è l'intoccabilità della televisione. Come sette anni fa con Luttazzi, ancora una volta si alza un polverone assurdo per un fatto già ampiamente trattato da libri e giornali (I complici di Lirio Abbate e Peter Gomez, Se li conosci li eviti dello stesso Gomez e Marco Travaglio, gli articoli di Travaglio su l'Unità), solo perchè certi argomenti devono necessariamente essere banditi dalla televisione generalista. Ma se sette anni fa certi mazzolamenti censorei erano un minimo contrastati dall'opposizione, adesso avvengono nel più totale ed assordante silenzio.
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